Una fase due per tutti

Riportiamo di seguito il testo dell’intervento del delegato API – MiBACT all’assemblea del 22 marzo:

È trascorso solo un mese dall’importante appuntamento di TourismA, a Firenze, nel quale gli archeologi italiani, ognuno per il proprio settore di riferimento, hanno fatto sentire la propria voce manifestando le proprie posizioni in merito alle vicende legate alla soppressione delle Soprintendenze archeologiche, perseguita dal MiBACT nell’ambito della profonda riorganizzazione iniziata nel 2014, continuata nel 2015 e di cui ora viviamo l’evoluzione (forse) finale.

Si è discusso di tutto, o quasi: di riconoscimento della professione, di archeologia preventiva, di tutela e ricerca, di “economia della cultura”.

Si è cercato di capire quale sia il fondamento e gli obbiettivi del cosiddetto Coordinamento per il Soggetto Unico degli archeologi e se questo possa essere un utile strumento di difesa della professione e di proposta per il futuro.

Se non per sprazzi, è mancata probabilmente una lucidità generale di fondo (di cui anche API si assume parte delle responsabilità) ed è mancata la determinazione di non cedere alle accuse reciproche, debordando perfino negli insulti, che sui social imperversano in questi giorni.

Tutto ciò non ha giovato a nessuno, se non a chi preferisce interlocutori divisi e in disaccordo su tanti punti.

Tant’è. Nel momento più drammatico per la nostra disciplina, e forse proprio su tutti i fronti, l’urgenza di far sentire la propria voce e i propri interessi per tentare di porre rimedio ad un intervento sbagliato del Governo (il DM 23.01.2016 è ormai in vigore) ha finito per travolgere tutti. Non esistono vincitori. Chi pensa di aver ottenuto punti a proprio favore continuerà invece a dover affrontare la realtà. E la realtà in questo Paese, ora, è che non c’è posto per il riconoscimento dovuto del ruolo dei tecnici (come dimostrato anche oggi dalle posizioni espresse dal ministro Madia sul quotidiano La Repubblica), se non quando tornano comodo per scaricare responsabilità delle scelte (sbagliate) di natura politica.

Non pensiamo sia questa la sede per tornare sugli argomenti già discussi a TourismA. Ma da lì dobbiamo per forza ripartire.

 

1 – Ci siamo lasciati chiedendo un’altra volta al Ministro, dopo l’occasione avuta il 28 gennaio con il Capo di Gabinetto, la sospensione della procedura di pubblicazione del DM. Ciò non è avvenuto. Si è detto che il DM è pubblicato dall’11 marzo. E come tale ha una serie di problematiche, di forma e di sostanza, alle quali è necessario pensare. Ed è insostenibile, ancora una volta, l’idea che siano gli uffici territoriali a doversi sobbarcare l’interpretazione del testo ormai in vigore. Abbiamo chiesto anche l’istituzione di un tavolo tecnico di coordinamento sulle problematiche generali dei Beni Culturali e un tavolo tecnico di coordinamento per le problematiche specifiche degli uffici MiBACT (anche alla luce della mancata conclusione della c.d. Fase 1 della Riforma del 2014). E neanche di questo vi è traccia.Proprio per la natura del nostro lavoro che quotidianamente ci costringe ad affrontare le problematicità archeologiche del territorio, spesso con strumenti normativi incompleti o inadeguati, crediamo sia fondamentale essere ascoltati e quindi necessario potersi sedere ad un tavolo di discussione, vista l’enormità della Riforma. Vorremmo inoltre sentire un intervento autorevole anche da parte dei dirigenti preposti del MiUR o dai loro eventuali delegati, finora assente (o quasi) dal dibattito. In quanto funzionari dello Stato abbiamo già elaborato, seppure parzialmente, delle proposte per superare alcune macroscopiche criticità che a breve dovremo affrontare; ad esempio, vista la drammatica carenza di personale tecnico e di archeologi specialisti che si verificherà nelle Regioni dove le Soprintendenze archeologiche verranno sdoppiate o triplicate, sarà opportuno istituire una sorta di tavoli tecnici regionali (a carattere prettamente archeologico) che potranno fornire supporto a tutti i funzionari degli uffici MiBACT. Inoltre, dovrà essere potenziata l’informatizzazione delle procedure e degli archivi, per mantenere possibilmente la loro unità e accessibilità da parte di tutti gli archeologi che verranno distribuiti nelle future strutture (su questo, ad esempio, stanno già lavorando Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Veneto con il progetto RAPTOR).

2 – Non risulta che nessuno si sia ancora occupato, nel dettaglio, di fornire dati esaurienti sull’iter della Fase 1, se non –tra l’altro- presentando un quadro preoccupante soprattutto per l’ambito delle direzioni dei Musei dei Poli regionali, di parte dei quali spicca la mancata assegnazione ad un direttore oppure la doppia (tripla e a volte quadrupla) assegnazione. Ribadiamo che non è solo un problema di mancanza di funzionari, cui peraltro non potrà sopperire il previsto concorso per 500 unità (di cui nessuno parla più, però), ma un problema più generale di organizzazione e operatività delle strutture e del lavoro connesso (la “valorizzazione”). Se dobbiamo essere catapultati nella Fase 2, non si capisce chi e a che titolo completerà le transizioni patrimoniali dovute con la Fase 1 e non ancora terminate per le oggettive difficoltà di realizzazione in tempi rapidi e a costo zero. Non possiamo entrare nel dettaglio delle situazioni di ciascun ufficio MiBACT ma risultano a noi lampanti e ubiquamente presenti problemi nei settori tecnici, amministrativi e di gestione del personale. Anche per queste ragioni sembra necessario e urgente l’istituzione del tavolo nazionale di lavoro, cui sopra abbiamo accennato.

3 – Possiamo dire che è scampato il pericolo dell’abrogazione totale dell’archeologia preventiva? Forse questo sì. Ma se non ci fossimo impegnati a far passare questo messaggio, si sarebbe effettivamente arrivati alla nuova formulazione, peraltro ancora bisognosa di opportune correzioni, del nuovo art. 25 del futuro Codice degli Appalti? Rimane il dubbio. E in ogni caso, non possiamo ritenerci soddisfatti, da professionisti e operatori della tutela, dei contenuti dei commi 3, 4, 9, 13 e 14, che presentano –seppure in termini diversi- oggettive difficoltà legate alle tempistiche di istruttoria. Su questo argomento riteniamo che vi siano ancora numerose criticità, tra le quali, ad esempio, la regolamentazione dell’archeologia preventiva nei lavori privati (che la Convenzione di La Valletta prevede), la problematica unificazione nel nuovo Codice degli Appalti delle fasi previste dall’art. 96 c. 1/a e 1/b del D. Lgs. 163/2006, la mancata risoluzione di problemi come il salto degli step progettuali da parte delle committenze o l’indisponibilità delle aree su cui effettuare il survey e gli scavi preventivi (in fase di progetto preliminare o definitivo).

4 – Esiste attualmente un Coordinamento per la creazione di un Soggetto Unico degli archeologi. Lungi dal tornare sulle ampie e varie problematiche della professione, l’idea ci sembra sostenibile; tuttavia ci sembra mancare, al momento, la chiarezza della sua struttura nonché gli obiettivi che si pone, a breve o lungo termine. Forse l’occasione di oggi potrebbe essere utile anche per chiederci: cosa vorremmo, tutti noi, che sia questo Coordinamento ?

5 –  Ci sembra che il dibattito sull’Istituto Centrale di Archeologia, annunciato dal Ministro in un’intervista sul quotidiano La Repubblica, sia completamente mancato, come del resto alcun elemento utile per capire motivazioni ed obiettivi di questo nuovo corpo (estraneo ?) interno al Ministero e le sue specificità rispetto agli attuali compiti della Direzione Generale Archeologia.

Con questo spirito di critica costruttiva vorremmo si aprisse oggi una Fase 2 per tutti e possibilmente una nuova primavera dell’archeologia italiana.

COSTITUENDO COMITATO DEL 22 MARZO: DOCUMENTO

Pubblichiamo di seguito il testo del documento conclusivo dell’assemblea riunitasi il 22 febbraio 2016 a Roma, presso la sede dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte:
Per autoconvocazione si sono riuniti, in Roma il giorno 22 marzo 2016, quasi duecento tra archeologi, storici dell’arte, architetti, funzionari delle soprintendenze, rappresentanti delle OO. SS., professionisti nel campo dei Beni Culturali, i quali tutti hanno preferito essere indicati come “operatori dei Beni Culturali”, a prescindere dall’eventuale appartenenza o ruolo in un’istituzione.
Già da questa comune denominazione i convenuti vogliono indicare come ritengano necessaria una stretta collaborazione non solo tra Ministero per i Beni e le Attività Culturale ed il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca ma anche con quanti, pur non istituzionalizzati, operano nel campo dei Beni Culturali.
È, infatti, scopo comune il rafforzamento della tutela del patrimonio culturale grazie all’azione di operatori formati in maniera adeguata, attraverso successivi passaggi formativi.
Gli intervenuti auspicano che il Ministero per i Beni e le Attività Culturale ed il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca giungano concordemente alla definizione di una comune politica a favore dei Beni Culturali, di percorsi formativi, di strutture rivolte alla ricerca: il tutto a comporre un meditato e metodologicamente basato progetto culturale dal quale far discendere le attività organizzative e quotidiane, Fra le quali ultime sono da annoverare gli accordi rivolti a favorire la ricerca sul terreno, concordata e programmata.
Gli intervenuti hanno espresso non solo caute osservazioni sulla riforma in atto, ma anche aperte critiche. Queste, in specie, hanno riguardato la mancanza di un rendiconto certificato sull’attuazione del primo anno della riforma; l’istituzione dell’Istituto Centrale di Archeologia senza che si sia attuata l’ampia consultazione in precedenza promessa da Ministro; la separazione tra tutela e valorizzazione; il declassamento della funzione conoscitiva e del riconoscimento delle specializzazioni tecniche a partire da quelle del soprintendente.
In particolare, gli intervenuti richiedono una moratoria effettiva nell’applicazione della riforma: per la mancanza di una preventiva analisi dei fabbisogni di risorse, professionali e finanziarie, necessarie per il buon funzionamento degli istituti che si sono venuti a creare; per il mancato rispetto degli standard museali in quegli istituti, considerati autonomi o raccolti nei poli museali.
Il progetto culturale che si auspica tende anche a scongiurare il ripetersi delle fallimentari esperienze verificatesi in Sicilia: sulle quali ampie testimonianze sono state portate nel corso dei lavori.
Gli intervenuti chiedono la solidarietà di quanti hanno a cuore, in Italia ed in Europa e non solo, la conservazione, la conoscenza e la buona gestione del patrimonio culturale italiano.
I convenuti si riservano di adire tutte le vie possibili per diffondere e difendere tali proprie convinzioni in tutte le sedi, istituzionali e non.
Per il costituendo Comitato del 22 marzo: Luca Cerchiai (lcerchiai55@gmail.com)

Hanno aderito ai lavori: Consulte Universitarie Nazionali di Preistoria e Protostoria, di Archeologia del Mondo Classico, delle Archeologia Post-Classiche, di Topografia Antica, della Storia dell’Arte: Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria; Fondazione Ranuccio Bianchi Bandinelli; Associazione Archeologi Pubblico Impego; Federazione Archeologi; UILPA-Mibac.

DM 23.01.2016 – Ribadiamo la nostra posizione

API-MiBACT ribadisce lo sconcerto per la pubblicazione sulla G.U. n. 59 dell’11/03/2016 del DM 23/01/2016 di riorganizzazione del MiBACT, nonostante le ampie critiche su forma e sostanza (ivi inclusa la richiesta di sospensione dell’iter del DM per una più proficua discussione) siano state presentate negli ultimi mesi in varie occasioni pubbliche. Stupisce in particolare la mancanza di risposte ai professionisti che lavorano ogni giorno per il Ministero e il patrimonio culturale nazionale. Si sottolinea in tal senso che API – MiBACT, da quasi due mesi, è in attesa di essere ricevuta dal Ministro On. Franceschini, come richiesto al Capo di Gabinetto del Ministero, Prof. Giampaolo D’Andrea, in occasione della manifestazione di giovedì 28 gennaio u.s., e come dallo stesso D’Andrea assicurato.

Ancora una volta si è avuta una sensazione di scarsa apertura nei confronti di molte delle voci, interne ed esterne al MiBACT, che hanno di recente creato un sano e necessario dibattito a livello nazionale.

In riferimento al rendiconto informale dell’incontro avvenuto venerdì 12 marzo u.s. tra il Ministro On. Franceschini e gli aderenti al cosiddetto Coordinamento degli archeologi italiani, si ritiene necessario precisare, a seguito di ripetute inesattezze, che API – MiBACT, pur essendo tra i firmatari della lettera aperta al Ministro datata 24 febbraio, costituente sofferta sintesi delle posizioni a tratti laceranti emerse dal dibattito pubblico tenutosi il 19 febbraio a TourismA, non ha partecipato a tale incontro, e che pertanto le dichiarazioni ivi attribuite al rappresentante del Ministero dei Beni Culturali e riportate sui media da parte di membri del Coordinamento, non riflettono la posizione di API – MiBACT.

API-MiBACT continuerà strenuamente a difendere la dignità professionale dei funzionari archeologi dello Stato e la tutela del patrimonio archeologico.

 

Archeologi del Pubblico Impiego – MiBACT

 

Archeologia preventiva: un sospiro di sollievo e un dibattito da avviare

L’approvazione in via preliminare del nuovo “Codice degli Appalti Pubblici e dei Contratti di Concessione”, avvenuta lo scorso giovedì 3 marzo da parte del Consiglio dei Ministri, ha segnato una importante vittoria nella politica di difesa della tutela del patrimonio archeologico condotta da API – MiBACT sin dalla sua fondazione. Il sostanziale mantenimento nel nuovo art. 25 delle norme già presenti negli art. 95 e 96 del precedente D.Lgs. 163/2006 conferma la necessità di uno strumento normativo che, pur perfettibile, più di tutti negli ultimi dieci anni ha rappresentato un cardine operativo dell’attività di tutela nel settore delle opere pubbliche.
Le criticità e le potenziali contraddizioni derivanti dal concreto rischio di uno stralcio di tali norme dal nuovo decreto sono state poste da API – MiBACT all’attenzione dell’opinione pubblica e dei diversi operatori del settore sin dal 23 gennaio, attraverso una petizione on line su Change.org lanciata in collaborazione con Assotecnici, che ha raccolto fino ad oggi più di 13.000 adesioni da parte di tantissimi studiosi, professionisti e cittadini, italiani e stranieri. Il dibattito che è seguito all’iniziativa ha contribuito certamente a portare sotto i riflettori la questione, che avrebbe rischiato altrimenti di passare sotto silenzio.
Appare tuttavia paradossale che l’attenta attività di monitoraggio e di pressione condotta da API in questi mesi sia stata necessariamente volta a evitare la cancellazione dal nostro ordinamento giuridico, se non il forte ridimensionamento di quelle norme nate per garantire le esigenze della tutela del patrimonio archeologico salvaguardando al contempo la speditezza di esecuzione di infrastrutture importanti per lo sviluppo del paese. E’ stata negata invece la possibilità di avviare un dibattito serio e approfondito con gli operatori del settore, che consentisse una semplificazione delle procedure rispettosa dei diversi e delicati interessi in campo, anche sulla base delle esperienze condotte in quest’ultimo decennio.

API – MiBACT ritiene dunque che la soddisfazione per questo primo risultato non possa e non debba tradursi in un eccessivo entusiasmo nei confronti del nuovo impianto normativo. Questo a prima vista non risolve le criticità operative riscontrate in anni di applicazione, non proponendo reali semplificazioni della procedura nel suo complesso, ma semplici contrazioni di tempi dei procedimenti in capo agli organi di tutela.
API – MiBACT – che si riserva di approfondire le tematiche relative al nuovo articolo di legge in un più specifico documento – auspica pertanto che, in occasione dei futuri passaggi del testo di legge, si possa avviare un immediato e proficuo tavolo di dibattito tecnico che porti al perfezionamento di uno strumento normativo condiviso fra i vari attori coinvolti nella tutela archeologica pubblica.

22 marzo – Archeologi in azione

L’Associazione degli Archeologi del Pubblico impiego ribadisce la propria ferma contrarietà al decreto di riforma della struttura del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Preso atto della assoluta mancanza di apertura al confronto con gli operatori del settore, l’Api ribadisce la contrarietà all’assetto organizzativo proposto e chiede una moratoria della riforma al fine di superare, con un dibattito costruttivo, le evidenti criticità che mettono a rischio la tutela e i servizi ai cittadini. La profonda ristrutturazione del Ministero, della quale non condividiamo né il merito né il metodo, rischia di portare al collasso gli organismi territoriali periferici, senza affrontare, di contro, i problemi urgenti della semplificazione burocratica e della modernizzazione della struttura ministeriale.

Ciò premesso, l’API:
– risponde all’appello del professor Piero Giovanni Guzzo e sarà presente all’incontro del 22 marzo 2016 a Roma
– chiede a tutte le associazioni di categoria, alle consulte universitarie di archeologia, agli archeologi tutti di partecipare all’incontro romano, trasformandolo in un’occasione di confronto e costruttiva proposta, dando così luogo a veri e propri STATI GENERALI DELL’ARCHEOLOGIA