In ricordo di Alessandra Toniolo

La mattina del 23 dicembre 2021 è venuta tristemente a mancare Alessandra Toniolo, archeologa che, per anni, ha collaborato con la Soprintendenza Archeologica del Veneto, in numerose attività di scavo e ricerca.

Specializzatasi presso l’Università di Pisa, fin dagli anni Ottanta si è occupata di cultura materiale e di commerci in epoca antica. 

Nella seconda metà degli anni Novanta ha partecipato alla fervida stagione di studio delle anfore da trasporto di età romana, che ha visto Padova, e in particolare l’Istituto di archeologia dell’Università, come uno dei principali punti di riferimento, a livello nazionale, delle ricerche su questa classe di materiali.

Le sue pubblicazioni, in modo particolare quelle dedicate alle anfore di Altino e di Adria, si contraddistinguono per il rigore scientifico, cui si coniuga una particolare attenzione all’aspetto didattico, ovvero testi e immagini illustrativi dei diversi aspetti funzionali di questi particolari contenitori da trasporto che a molti evocano il mondo romano, tanto sono noti e diffusi.

Per molti anni si è anche dedicata con rigore al lavoro di catalogazione e di sistemazione del Catalogo della Soprintendenza del Veneto.

A lei si deve poi l’allestimento del Museo Civico di Chioggia, presso il complesso di San Francesco fuori le mura, del quale, per un periodo è stata curatrice; ha collaborato poi con l’Universitat Autonoma di Barcellona, occupandosi ancora una volta di anfore e approfondendo i temi legati alle produzioni iberiche.

È stata inoltre parte attiva nello studio dei materiali del carico della nave romana Iulia Felix di Grado e pienamente coinvolta nella stagione di studi dei materiali archeologici provenienti dagli scavi effettuati nella Laguna di Venezia; fra i molti e preziosi contributi, ricordiamo con piacere lo studio dell’anfora iscritta di San Francesco del Deserto e l’appassionato e prolungato impegno per il progetto di allestimento dell’antiquarium di Lio Piccolo, in Laguna Nord.

Alessandra è stata una persona colta e garbata, animata da una curiositas coniugata a un aspetto non comune del mestiere, quello di associare lo studio scientifico a temi divertenti.  Partendo dal volume di ricette romane di Apicio e altre fonti antiche, si dilettava ad organizzare cene ‘alla romana’, con i dovuti aggiustamenti gastronomici. Piace pensarla in una dimensione dove la sua dote di coniugare sapere e divertimento continui a renderla unica nel suo genere.

Di Alessandra resta l’eredità dei suoi studi; nessuno, tra chi l’abbia conosciuta, può dimenticare il ricordo del suo sorriso, la gioviale risata, una parola per tutti, perché tutti la conoscevano. Ma è certamente corretto ricordare anche alcune sue appassionate “invettive” contro il mondo presente, ed in particolare la sua onestà intellettuale nel rappresentare le grandi difficoltà e le sfide che gli archeologi si trovano ad affrontare di continuo, a volte con esito incerto. 

Grazie, Alessandra, per quanto hai condiviso con chi ha avuto l’opportunità di lavorare con te, o anche solo incontrarti. Nessuno è così lontano se lascia tanto su questa terra, che ti auguriamo sia più che lieve.

Comunicato congiunto API – Assotecnici

Ci risulta incomprensibile la recentissima posizione di Legambiente in merito a quanto sollevato dalle nostre Associazioni e da una nutrita serie di rappresentanze del mondo imprenditoriale ed universitario in merito ai rischi connessi ai contenuti della bozza di decreto del MiTE inerente una serie di agevolazioni o regolamentazioni amministrative di progetti ed opere destinate al PNRR nel quadro della cosiddetta “Transizione Ecologica”.

Da un lato, come spesso accade, si additano le Soprintendenze come principale ostacolo al progresso e alle trasformazioni necessarie per un Paese moderno, in difficoltà certamente per le conseguenze della pandemia ma anche per problematiche strutturali non certo nuove. Rileviamo che non solo il bersaglio appare ingiustificato per il fatto che le nostre posizioni sono condivise -appunto- da realtà imprenditoriali ed universitarie ma anche per il fatto che -in quanto organo tecnico- le Soprintendenze hanno comunque il diritto e il dovere di porre all’attenzione, nei limiti a loro concessi dalla normativa di settore, iniziative che possono creare dei rischi per la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, che la nostra Costituzione rileva come fondativi della nostra identità e oggetto di una tutela prioritaria per l’interesse nazionale.

Nel merito, poi, non si comprende come possa essere sostenibile che Legambiente critichi una posizione che pone all’attenzione tematiche che da sempre stanno a cuore proprio alla stessa Legambiente. Ci meravigliamo, in questo caso, di una certa superficialità nell’esame delle proposte di iniziativa del MiTE, che secondo noi nulla hanno a che vedere con un concetto moderno, sostenibile e avanzato, di vera “Transizione Ecologica”.

Il rischio è proprio che, sotto questa etichetta “panacea”, si concretizzi un piano nazionale di Transizione Eco-Illogica, nella quale ogni settore meritevole di tutela potrà essere sacrificato in nome di impianti ed opere di ogni tipo.

Ci dispiace ma non è in questo modo che il Paese trarrà giovamento dalla disponibilità di fondi straordinari; non è piegando la legge a proprio piacimento né interpretandola con etichette roboanti e suggestive che si riuscirà a rendere il Paese degno di se stesso.

Foto di Samuel Faber da Pixabay

Contro le scorciatoie alla tutela: comunicato stampa congiunto delle associazioni archeologiche

È notizia dei giorni scorsi la proposta di un decreto che sospenderebbe la tutela del patrimonio ambientale, paesaggistico e archeologico. Si tratta della bozza del decreto presentato dal Ministero per la Transizione Ecologica riguardante indicazioni per la semplificazione delle procedure autorizzative per i lavori di costruzione di impianti per le energie rinnovabili finanziati con il Recovery Plan.

Le associazioni di categoria e le consulte universitarie che operano nel settore dell’archeologia stanno mettendo in campo azioni diverse per contrastare queste norme che sospenderebbero la tutela del paesaggio e del patrimonio. Mentre stiamo lavorando con i Deputati e i Senatori per spiegare loro quali gravissimi rischi correrebbe il nostro Paese se queste norme venissero approvate, abbiamo scritto due lettere, una al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e un’altra ai ministri della Cultura, Dario Franceschini, della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, e delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, segnalare le criticità della formulazione e per chiederne quindi la revoca.

La semplificazione e la velocizzazione delle procedure è un obiettivo pienamente raggiungibile senza passare sopra al nostro patrimonio e senza danneggiare il paesaggio.

Ci auguriamo che il governo comprenda come la tutela del nostro patrimonio, archeologico e paesaggistico non sia un ostacolo allo sviluppo del Paese bensì la vera risorsa per un futuro che punti realmente sulla sostenibilità ecologica e culturale dello sviluppo economico.

Attribuzione di incarichi e profili professionali

Sempre più spesso accade di assistere, all’interno del Ministero, all’assegnazione di incarichi di tipo archeologico a colleghi appartenenti ad altri profili professionali: API Mibact, insieme alle altre associazioni di settore, ha preso ancora una volta posizione contro questa pratica, segnalando la propaganda ai competenti organi del MIC.

Di seguito il testo della nota congiunta inviata al Segretariato Generale, alle Direzioni Generali competenti e agli organi periferici e il link per scaricare il documento completo.

Gentilissimi Direttori Generali,

Sono a più riprese giunte a Queste Associazioni notizie di incarichi di stretta competenza archeologica (Direzioni di siti e Musei archeologici, servizi archeologici, responsabilità di aree funzionali, incarichi di R.U.P.) assegnati ad altre professionalità, sia nell’ambito dirigenziale che nell’area terza; tali incarichi vengono spesso motivati con scarsità di personale o con un non ben definito “compendio di competenze”, con palese disattenzione alla prassi della caratteristica prevalente, peraltro ben ribadita per il ruolo del R.U.P. dalla Linee guida ANAC 3/2016, con palese rischio di compromettere l’azione amministrativa e soprattutto di tutela per palese difetto di competenza degli incaricati, con risvolti peraltro negativi anche in relazione a conoscenza e ricerca.

Allo stesso tempo è di generale diffusione nell’ambito del MiC una palesemente errata interpretazione delle linee guida ANAC 3/2016, art. 4.2 commi b e C, che assegnerebbe la Responsabilità Unica del Procedimento per importi oltre soglia in esclusiva alle professioni ordinistiche. Tale norma fa invece testualmente riferimento alle materie oggetto dell’intervento da affidare, ed elenca alcune professioni premettendo il termine ad esempio e titoli equipollenti ai precedenti, nonché facendo riferimento alla abilitazione all’esercizio della professione, specificando quanto questo sia nelle more della previsione di apposite sezioni speciali per l’iscrizione al relativo Albo, requisito che è stato riconosciuto alla professione di Archeologo con l’emanazione dei regolamenti applicativi della L. 110/2014.

Certi e convinti che le oggettive necessità amministrative non possano in alcun modo giustificare deroghe alla normativa qualora non previste dalla legge, queste Associazioni chiedono alle SS.LL. di sollecitare alle strutture periferiche di diretta dipendenza – in particolare le SABAP e le Direzioni Regionali Musei- una rigorosa attenzione alla L. 110/2014 e del regolamento applicativo emanato con il DM 244/2019 nell’attribuzione degli incarichi.

Certi della attenzione che le SS.LL. riserveranno a quanto riteniamo un atto dovuto, rimaniamo in attesa di un Vs. cortese riscontro

Le Associazioni

ANA – Associazione Nazionale Archeologi                                                  associazione@archeologi.org

API – Archeologi Pubblico Impiego MiBACT                                                   api.mibact.naz@gmail.com

ARCHEOIMPRESE – Associazione delle imprese archeologiche            presidente@archeoimprese.it

ASSOTECNICI – Associazione Nazionale dei Tecnici per il Patrimonio Culturale  assotecnici@yahoo.it

CIA – Confederazione Italiana Archeologi                                            presidente@archeologi-italiani.it

Consulta di Topografia Antica                                                           consulta.topografia.ant@gmail.com

FAP – Federazione Archeologi Professionisti                                                   faparcheologi@gmail.com

Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia (Consulte di: Preistoria e Protostoria; Archeologia del mondo classico; Archeologie postclassiche; Numismatica; Studi dell’Asia e dell’Africa ; Antropologia)                                              federazione.consulte.archeologia@gmail.com

LEGACOOP Produzione & Servizi                                                      segreteria@produzione-servizi.coop

Mi Riconosci? sono un professionista dei Beni Culturali         miriconosci.beniculturali@gmail.com

Decreto Milleproroghe, emendamento N. 13.183 sulla Verifica preventiva dell’Interesse archeologico

A seguito del comunicato congiunto, pubblichiamo il documento elaborato da API insieme a tutte le altre associazioni di settore e fatto pervenire stamattina al Ministro dei Beni Culturali, al Ministro delle Infrastrutture e Trasporti e ai rappresentanti di Camera e Senato più direttamente coinvolti.

Di seguito potete scaricare il testo completo della lettera.

In difesa dell’archeologia preventiva

Tra gli emendamenti al decreto cd. “Milleproroghe” ne è stato presentato uno che mira a impedire l’applicazione delle vigenti normative in merito all’archeologia preventiva. API MiBACT, insieme alle altre associazioni di settore, si è immediatamente attivata per contrastare questa iniziativa che risulterebbe devastante per la tutela archeologica del nostro Paese.

Di seguito riportiamo il comunicato congiunto, con il quale ci opponiamo fermamente all’iniziativa legislativa.

Le sottoscritte Associazioni aderenti al Tavolo di coordinamento delle sigle del settore Archeologia – rappresentative della PA, delle professioni, delle imprese -, esprimono profondo allarme riguardo alla proposta di emendamento n. 13.183 della I Commissione Permanente (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni), contenuto all’interno del documento che raccoglie gli emendamenti proposti per il cosiddetto “Decreto Milleproroghe “(D.l. 31 dicembre 2020, n. 183 ), che riguarda una modifica al comma 1 dell’art. 25 del D.Lgs. 50 del 18 aprile 2016 (Verifica preventiva dell’interesse archeologico) a firma degli On. Silvana Andreina COMAROLI, Massimo GARAVAGLIA, Giuseppe Ercole BELLACHIOMA, Claudio BORGHI, Vanessa CATTOI, Emanuele CESTARI, Rebecca FRASSINI, Vannia GAVA, Paolo PATERNOSTER, tutti del Gruppo parlamentare LEGA – SALVINI PREMIER.

L’emendamento in oggetto chiede che “per l’attuazione dei contratti disciplinati dal decreto Legislativo 18 aprile 2016 n. 50, i cui lavori non siano stati avviati alla data di entrata in vigore della presente disposizione e fino alla data del 31 dicembre 2025, la verifica preventiva dell’interesse archeologico, di cui all’articolo 25 comma 1 del, decreto Legislativo 18 aprile 2016 n. 50, è necessaria solo per le aree soggette a specifica tutela negli interventi urbanistici. Per i casi non ricompresi nel precedente periodo è sufficiente l’autocertificazione a firma di un progettista abilitato”.

L’articolo 25 del DL 50/2016, deriva dall’Articolo 28 del DL 42/2004 che al comma 4 recita:

In caso di realizzazione di lavori pubblici ricadenti in aree di interesse archeologico, anche quando per esse non siano intervenute la verifica di cui all’articolo 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all’articolo 13, il soprintendente può richiedere l’esecuzione di saggi archeologici preventivi sulle aree medesime a spese del committente”.

Tutto ciò discende dal principio indicato dall’articolo 9 della Costituzione Italiana, che indica come interesse prioritario della Nazione la tutela del patrimonio archeologico, e dalla Convenzione Internazionale per la Protezione del Patrimonio Archeologico firmata a La Valletta nel 1992 e ratificata dall’Italia nel 2015.

L’introduzione di questo emendamento segue la scia di una serie di posizioni errate che considerano l’archeologia preventiva un ostacolo ad una celere esecuzione dei lavori pubblici.

Chi afferma ciò, però, dimostra di non aver affatto capito la ratio di questo provvedimento che ha invece lo scopo, di intervenire prima che i lavori abbiano inizio, in fase di progettazione di fattibilità, dando quindi la possibilità di modificare eventualmente i progetti senza un ulteriore aggravio di costi per la committenza conseguenti alla necessità di rivedere i progetti in corso d’opera.

Il paradosso è che questo emendamento, lungi dall’accelerare i lavori pubblici, finirebbe col far ripiombare la disciplina di tutela nel vecchio “fermo cantieri”, quello sì esiziale per la speditezza dei lavori e con relativo aumento dei costi di realizzazione delle opere.

C’è certamente la necessità e l’urgenza di sviluppare e diffondere la cultura dell’archeologia preventiva, che nasce con la finalità di difendere il patrimonio archeologico, ma rendendo compatibile la tutela con i tempi e le esigenze dello sviluppo moderno: non a caso, il termine anglosassone che definisce l’archeologia preventiva e di emergenza è development-led archaeology, ovvero “archeologia guidata dallo sviluppo“. Noi difendiamo questa visione e vorremmo, semmai, emendamenti migliorativi della legge.

Per chiudere vorremmo fare una considerazione: questi emendamenti sono proposti con lo scopo di aiutare la ripresa economica del Paese, senza lasciare indietro nessuno. Ebbene gli interventi di archeologia preventiva rientrano pienamente nelle attività economiche del Paese, messe a durissima prova prima dalla crisi economica, iniziata nel 2008 ed oggi da quella innescata dall’emergenza Covid-19, negare o ridimensionare queste pratiche avrebbe nefaste conseguenze: non solo per la tutela e per la fattibilità delle opere stesse, ma, come diretta conseguenza, non farebbe altro che  aggravare la situazione economica della fitta rete di imprese specializzate e delle migliaia di professionisti, archeologi, architetti, ingegneri, restauratori  e operai che lavorano ogni giorno in questo settore.

Appare evidente dal contenuto dell’emendamento che la proposta avanzata non tiene conto né della funzione dell’archeologia preventiva né delle ricadute negative di una sua sospensione non solo sulla tutela del patrimonio culturale, ma sulle stesse stazioni appaltanti e ditte esecutrici che vedrebbero lievitare in maniera incalcolabile costi e tempi di realizzazione delle opere. Si ricordi infatti che la normativa sull’archeologia preventiva fu a suo tempo varata proprio per cercare rimedio a questi aspetti problematici. Per questo motivo le suddette sigle si appellano ai Ministri De Micheli e Franceschini e alle Commissioni Parlamentari competenti, affinché chiariscano nelle sedi opportune gli enormi rischi di questo emendamento non solo nei confronti del patrimonio culturale, ma anche nella realizzazione dei lavori che solo apparentemente vedrebbero una velocizzazione e una riduzione di costi,  con un  ritorno ad una condizione  già tristemente nota di blocco dei lavori in sede esecutiva con conseguenze pesantissime in termini economici e di tempistica di esecuzione e consegna.

Per tutto quanto sopra esposto, si chiede il respingimento dell’emendamento di cui in oggetto, attraverso il quale non è possibile attuare le garanzie previste dalla Costituzione e dalla Legge a tutela del patrimonio archeologico nazionale.

Le Associazioni

ANA – Associazione Nazionale Archeologi

API – Archeologi Pubblico Impiego

ARCHEOIMPRESE – Associazione delle imprese archeologiche

ASSOTECNICI – Associazione Nazionale dei Tecnici per il Patrimonio Culturale

CIA – Confederazione Italiana Archeologi

CNA – Confederazione Nazionale Artigianato e p.m.i.

FAP – Federazione Archeologi Professionisti

LEGACOOP Produzione & Servizi

Mi Riconosci

Le Associazioni dell’Archeologia sul recovery plan: un’occasione unica per il rilancio di una politica industriale per il settore dei beni culturali e per un piano di riforma e di investimenti per l’archeologia

Le Associazioni aderenti al Tavolo di coordinamento delle sigle del settore Archeologia – rappresentative della PA, delle professioni, delle imprese – e le Consulte universitarie, dopo la tavola rotonda Una ripartenza per i Beni Culturali post covid-19, organizzata dalla Confederazione Italiana Archeologi, hanno elaborato un documento congiunto sulle opportunità e le prospettive aperte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che è stato inviato lo scorso 24 dicembre al MiBACT, MUR, MISE e MIT.

I firmatari sottolineano come l’archeologia sia un settore a forte impatto sociale che permette di ricostruire la memoria storica, le radici culturali della comunità dandole voce, oltre a rappresentare uno dei principali fattori di animazione del mercato turistico e offrendo lavoro a una vasta rete di imprese specializzate e di professionisti.

Evidenziano anche come gli investimenti nel settore culturale siano generatori di sviluppo per quanto incidono sull’indotto (Impresa Cultura Italia – Confcommercio stimano 2,65 euro di indotto locale ogni euro investito). Proprio per questo ritengono che i professionisti e le imprese impegnate nella salvaguardia del patrimonio culturale italiano siano in grado, se forniti di strumenti adeguati, di fungere da traino non solo per la valorizzazione di tale risorsa, ma anche per collaborare attivamente alla ripresa economica del paese.

Pertanto, il PNRR rappresenta l’occasione per una nuova partenza sistemica, per definire una nuova politica industriale per il settore dei Beni Culturali con risorse, regole e definizione di percorsi formativi che vedano, tra l’altro, un più stretto rapporto tra istituti di formazione e ricerca, impresa e mondo delle professioni.

Richiedono, quindi, non interventi “a pioggia”, ma interventi mirati e strutturali accompagnati da un quadro di riforme delle prassi e delle norme che regolano il mercato di riferimento, nella convinzione che, se si investe in un sistema non regolato, che non funziona o che non è capace di immaginare o recepire le nuove potenzialità, è a rischio l’efficacia degli investimenti.

VALORIZZARE LE PROFESSIONI E IL MERCATO DELLA CULTURA

Tra gli interventi di riforma, viene sottolineata l’importanza della piena attuazione delle normative che regolano le figure professionali del settore, con la valorizzazione delle specifiche professionalità nell’ambito della progettazione, della direzione dei lavori e nella composizione delle commissioni di gara, oltre al recepimento della fase di studio e di pubblicazione on line tra le attività costituenti lo scavo archeologico. Per un corretto funzionamento del mercato viene inoltre sottolineata la necessità di uniformare capitolati e prezziari, superando le numerose diversificazioni territoriali, auspicando anche l’applicazione di criteri di affidamento che tengano conto delle caratteristiche di alta specializzazione del settore, caratterizzato da un’alta incidenza del fattore umano e dalla necessità di garantire alti standard qualitativi, fattori peraltro connessi con l’alto profilo che il dettato costituzionale riserva alla tutela del patrimonio culturale.

UNA NUOVA FISCALITÀ E RISORSE PER LA CULTURA

Si auspicano anche interventi nell’ambito della fiscalità con la convinzione che ogni indagine archeologica generi un arricchimento per lo Stato non solo in termini di conoscenza, ma anche per l’incremento di valore economico apportato al patrimonio pubblico attraverso l’immissione al Demanio di nuovi beni, opportunamente schedati, negli inventari patrimoniali dello Stato. Inoltre, le indagini, anche se infruttuose da un punto di vista archeologico, accrescendo il patrimonio di conoscenza, avvantaggiano la progettazione delle opere future.

Quindi, l’archeologia non può più essere considerata un problema né un rischio, ma un’opportunità per l’accrescimento del patrimonio nazionale oltre che del sistema per la fruizione culturale.

Da queste considerazioni derivano le proposte di detrazione delle spese culturali, di riduzione dell’IVA al 10%, già applicata per le opere di restauro, e la definizione di una fiscalità di vantaggio per i privati che devono affrontare i costi delle indagini archeologiche in fase preventiva o di assistenza in corso di realizzazione delle opere.

Nell’ambito dei programmi di investimento del PNRR viene, innanzitutto, evidenziata l’esiguità dello stanziamento previsto (3,1 mld di euro complessivi per cultura e turismo) non all’altezza delle opportunità che i beni culturali potrebbero generare per il Paese ed anche in considerazione del fatto che i due settori sono tra quelli maggiormente colpiti dagli effetti del COVID-19.

Viene richiesta la costituzione di un fondo per l’accessibilità e la fruizione ampliata, con la convinzione che fruire di musei, monumenti, complessi monumentali, aree e parchi archeologici significhi prima di tutto potervi accedere fisicamente e in secondo luogo essere messi in grado di poterne comprendere i contenuti storici e culturali.

Un ulteriore fondo è ritenuto necessario per supportare i privati che devono affrontare interventi di ricostruzione delle abitazioni danneggiate da un evento sismico, quando i cantieri ricadano in aree di interesse archeologico.

PER UNA CULTURA DIGITALE

La digitalizzazione, infine, è uno dei temi centrali del PNRR e il settore dell’archeologia ha una forte necessità di normalizzare e di sistematizzare una notevolissima quantità di dati conservati negli archivi, così come di concludere il processo di elaborazione degli stessi al fine di renderli fruibili. L’acquisizione di un sistema digitalizzato avrebbe immediati effetti positivi nell’ambito dei processi di pianificazione del territorio.

All’interno del vasto ambito della digitalizzazione sono state individuate tre direttrici di intervento finalizzate alla realizzazione di un Inventario nazionale dei siti e dei ritrovamenti, alla Digitalizzazione dei dati di archivio e alla Pubblicazione del materiale inedito storico.

La prima direttrice ha come obiettivo la realizzazione di uno strumento conoscitivo integrale e pubblico, un vero portale nazionale, da integrare agli altri strumenti di catalogazione o di digitalizzazione del MiBACT, di immediata utilità per la tutela, la valorizzazione e la programmazione del territorio, trattandosi di strumento consultabile per la progettazione (Enti territoriali, Professionisti) ed utilizzabile dai funzionari della PA per la redazione dei pareri tecnici.

La seconda direttrice propone un vero e generalizzato piano di digitalizzazione del patrimonio informativo sui Beni Culturali presente negli archivi degli Istituti MiBACT (Soprintendenze, Musei, Biblioteche ed Archivi) e delle Università. Proprio l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha fortemente evidenziato il grave ritardo in tema di accesso alle informazioni e alle tecnologie necessarie a supportare il lavoro anche svolto in forma “agile”. Sarà anche necessario promuovere, per favorire un uso del patrimonio culturale per la valorizzazione e l’accessibilità, l’inclusione di strumenti innovativi di documentazione quali riprese video da drone, modelli 3D, ecc.

La terza direttrice individua, come ambito di investimento, quello della pubblicazione su piattaforma digitale del patrimonio documentale, materiale e immateriale pregresso e conservato negli archivi, nei magazzini e sul territorio. Un’enorme mole di dati, spesso inaccessibile, inedito e per questo sottratta alla valorizzazione e alla fruibilità collettiva, che è di assoluta necessità per la conoscenza del territorio, quale elemento necessario per la pianificazione del suo sviluppo e per la messa a valore del proprio patrimonio.

Le Associazioni

ANA – Associazione Nazionale Archeologi

API – Archeologi Pubblico Impiego MiBACT

ARCHEOIMPRESE – Associazione delle imprese archeologiche

ASSOTECNICI – Associazione Nazionale dei Tecnici per il Patrimonio Culturale

CIA – Confederazione Italiana Archeologi

CNA – Confederazione Nazionale Artigianato e p.m.i. – Unione nazionale artistico e tradizionale

Consulta di Topografia Antica

FAP – Federazione Archeologi Professionisti

Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia (Consulte di: Preistoria e Protostoria; Archeologia del mondo classico; Archeologie postclassiche; Numismatica; Studi dell’Asia e dell’Africa)

LEGACOOP Produzione & Servizi

Mi Riconosci? sono un professionista dei Beni Culturali

La tutela nel pantano: il personale MiBACT fra pensionamenti e rompicapo assunzioni

Da mesi il termine emergenza è entrato nel vocabolario quotidiano, associato innanzitutto alla situazione sanitaria ed a seguire a quella economica, causata, o quantomeno aggravata, dalla prima.

In questo quadro va riconosciuto che fra i settori portati all’attenzione pubblica per le conseguenze subite causa COVID e limitazioni alle attività figurano beni culturali e turismo. Ben vengano quindi le “Misure urgenti per la tutela del patrimonio culturale e per lo spettacolo”, come recita l’art. 24 del c.d. “Decreto agosto”(D.L. 104 dd. 14 agosto 2020, convertito con L. 126 dd. 13 ottobre 2020). Ben venga anche che la tutela del patrimonio venga perseguita con il potenziamento del personale ad essa dedicato.

Tuttavia, leggendo bene, sorgono alcune perplessità: senza un nesso diretto con l’emergenza COVID e la crisi conseguente, si coglie in effetti l’occasione per il reclutamento, in varie forme, di funzionari e dirigenti. Non saremo certo noi, avvezzi a un’ormai cronica carenza di personale, a lamentarcene, tanto più che si deve constatare che la norma stessa, involontariamente, manifesta la causa per cui si debba intervenire con urgenza: la penalizzazione del settore della tutela, più volte denunciata da API-MiBACT, nelle riforme degli ultimi anni, tant’è che i funzionari e i dirigenti a tempo sono destinati solo ed esclusivamente alle Soprintendenze Archeologia Belle Arti e Paesaggio (ma anche archivistiche e bibliografiche) con esplicita esclusione degli Istituti autonomi (leggi grandi Musei).

Secondo l’atto di programmazione del fabbisogno di personale 2019-2021 del 3 aprile 2020, nonostante le 860 assunzioni del 2019, i funzionari erano 4177 su 5427 da organico, destinati a ridursi a causa delle cessazioni – circa 500 all’anno – a 2533 a fine 2021, con una carenza di 2894. Ancor peggio per i Dirigenti di II fascia, ovvero per lo più i Soprintendenti: 192 in organico, ma già a marzo scorso solo 103 ed a fine settembre 94 effettivi in ruolo, ed in prospettiva 2021 uno sparuto drappello di 62.

Merita anche soffermarsi sulla loro distribuzione, prendendo come confronto il dato del 2012, che vedeva in servizio 22 archeologi (ed uno di I fascia) a fronte di 37 architetti, 35 archivisti, 24 storici dell’arte, 20 amministrativi, 18 bibliotecari; a fine settembre si registravano 24 architetti, 7 archivisti, 31 storici dell’arte, 11 amministrativi, 11 bibliotecari e soli 10 archeologi (ma nel frattempo divenuti 9, compresi quelli presso gli uffici centrali, o alla direzione di Musei, e perfino uno in distacco presso altra amministrazione).

Bene, il piano assunzionale 2019-2021 prevedeva l’assunzione per il 2020 da graduatorie esistenti di uno sparuto numero di funzionari architetti e addetti alla comunicazione, rinviando quella, con nuovo concorso, di un più folto contingente di funzionari di vari profili specialistici (250) auspicabilmente nel 2021.

Le Soprintendenze però non possono aspettare e quindi, non appena banditi i concorsi già autorizzati per funzionari tecnici, grazie al “Decreto agosto” sarà permesso il ricorso a incarichi di collaborazione a funzionari dei medesimi profili, per una durata di quindici mesi, ma non oltre il 2021; inoltre si riapre la stagione dei “Giovani per la cultura”. Senza colmare i vuoti nell’organico, perché non si parla di aumentare i posti a concorso, si destinano consistenti risorse aggiuntive all’ennesimo ricorso al precariato – ed è notizia di un paio di giorni fa la seconda lettera di costituzione in mora da parte della Commssione Europea per l’abuso di questo strumento da parte della Pubblica Amministrazione, segnatamente in settori molto vicini al nostro (scuola, alta formazione artistica e musicale, personale accademico).

A dire il vero, se i precari sono tappabuchi, fino al massimo al 2021, non è prevista nessuna “clausola” risolutiva nel caso i concorsi si perfezionassero prima di tale data. Sorge quindi il sospetto che questo reclutamento sia solo una scorciatoia per un rapido ingresso nell’amministrazione, con il solo vincolo della trasparenza e pubblicità della procedura comparativa come nel caso dei 6 professionisti chiamati a collaborare alla Segreteria tecnica di Pompei trasformati in dipendenti grazie a una selezione pubblica a loro riservata, bruciando sul tempo gli ultimi idonei del “concorsone” dei 500.

Inoltre, a questi funzionari a tempo “possono essere attribuite le funzioni di responsabile unico del procedimento”. Ma il ruolo di RUP può essere rivestito da un funzionario solamente dopo 3 (o più) anni di servizio o esperienza professionale nell’affidamento di appalti e, secondo le Linee guida dell’ANAC, deve essere individuato fra i dipendenti di ruolo delle Amministrazioni. Ci troviamo, quindi, di fronte a un pericoloso precedente di esternalizzazione del ruolo del RUP avallato da una norma di rango superiore rispetto alle Linee guida dell’ANAC. Inoltre, questa disposizione danneggia ulteriormente i funzionari archeologi e storici dell’arte che, a fronte di altre professionalità che grazie all’iscrizione agli albi riescono più facilmente ad acquisire l’anzianità richiesta dalla norma per ricoprire il ruolo di RUP, già attualmente faticano, dall’interno, a vedere riconosciuta la propria competenza anche quando esclusiva, come sugli scavi archeologici.

Nel “Decreto agosto” ancora più problematico appare il quadro del reclutamento dei dirigenti, le cui carenze finora sono state coperte con ampio ricorso ad interim e soprattutto con i famosi “comma 6”, ovvero incarichi a tempo sulla base di valutazione dei curricula. A fronte dell’autorizzazione, fin da ottobre 2017 e novembre 2018, ad assumere, tramite concorso, 17 dirigenti tecnici (5 architetti, 4 archeologi, 8 archivisti) e 9 amministrativi, di gran lunga  insufficienti rispetto ai vuoti di organico , già nel 2019 si prevedevano ulteriori 12 + 11 dirigenti. Ma solo il reclutamento dei dirigenti amministrativi è stato avviato (corso concorso SNA), diversamente da quello per i dirigenti tecnici che, dopo un faticosissimo iter, ad aprile sembrava decisamente diretto verso una procedura gestita in via autonoma e diretta, per la specificità dei profili coinvolti.

A fronte di ciò il “Decreto agosto” si dedica alla selezione dei dirigenti tecnici “anche” tramite un corso-concorso, presso la Scuola Nazionale dell’Amministrazione in convenzione con la Scuola dei Beni e delle Attività culturali (emanazione del MiBACT), che comporta una frequenza della durata di dodici mesi. Sarebbe interessante comprendere come possa rientrare fra le “misure urgenti” la regolamentazione di una modalità di reclutamento, certo prevista dalla normativa a complementarità del concorso ma sicuramente in controtendenza rispetto all’esigenza di celerità e semplificazione su cui si poneva l’accento appena ad aprile (prevedendo di avvalersi delle modalità consentite dalla “Legge concretezza”, L. 56/2019), anziché puntare a sbloccare i concorsi per titoli ed esami grazie ai quali potrebbe essere bandito un massimo del 50 per cento dei posti autorizzati.

Questo consentirebbe sicuramente anche di valorizzare le risorse interne, capaci di esercitare immediatamente le funzioni dirigenziali, senza necessità di un corso di dodici mesi, come riconosciuto nello stesso Decreto. Questo, infatti, autorizza l’ampliamento del ricorso ad incarichi dirigenziali (i citati “comma 6) attribuiti a funzionari di ruolo, in attesa dei dirigenti selezionati e poi formati con l’iter del corso-concorso. E mentre per i funzionari a tempo non è prevista alcuna clausola risolutiva, per questi dirigenti a tempo la norma prevede esplicitamente la decadenza  automatica dall’incarico alle nuove immissioni,

In tutto ciò restano, inoltre, alcuni punti poco chiari: oltre al corso-concorso, si darà seguito alla procedura celere auspicata ad aprile, quindi concorsi per titoli ed esami? E soprattutto in quali percentuali, rispetto al corso-concorso e tra i vari profili – visto lo squilibrio che si è creato negli anni, a tutto discapito della professionalità degli archeologi? A questo proposito, poi, un ultimo inquietante dubbio nasce da alcune recenti dichiarazioni, tra gli altri, del Capo di Gabinetto del Ministro, Lorenzo Casini: il corso-concorso sarà finalizzato a formare dirigenti in parte destinati alla tutela, in parte alla direzione dei Musei: un passo indietro rispetto alle selezioni internazionali? O forse un requisito o almeno un criterio preferenziale per potervi poi partecipare?

E invece, nel caso delle supplenze affidate ai funzionari, con quali criteri questi saranno selezionati? Di questo nel “Decreto agosto” non si fa cenno.

Staremo a vedere; speriamo solo che l’urgenza non sia un nuova scorciatoia  per  modalità di selezione dei professionisti del patrimonio culturale non corrispondenti al dettato costituzionale.

“ATTENDERE PREGO” – Assordanti silenzi sulle crisi delle Soprintendenze piemontesi

Quanto tempo è passato da quando le rappresentanze sindacali di base delle Soprintendenze ABAP di Alessandria e Novara hanno inviato un approfondito documento su tutte le criticità presenti e a concreto rischio di aggravamento nei rispettivi uffici?

La data è il 15 giugno 2019 per l’invio all’allora Ministro Alberto Bonisoli.

La data è il 16 gennaio 2020 per l’invio all’attuale Ministro Dario Franceschini.

Destinatari del documento ovviamente non solo la carica ministeriale, ma Capo di Gabinetto, Segretario Generale, Direttori Generali di ogni tipo…

Quante risposte, riscontri, richieste di chiarimento da allora?

…forse non c’è neanche bisogno di dirlo.

Quanto tempo è passato da quando alcuni Senatori della Repubblica, in primis l’on. Margherita Corrado, hanno presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro Franceschini sulla gravissima situazione degli Uffici periferici di questo Ministero in Piemonte, creati ex novo espressamente dalla riforma voluta dallo stesso Ministro?

La data è il 10 giugno 2020.  http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/Sindisp/0/1154993/index.html

Quante risposte, riscontri, richieste di chiarimento da allora?

…forse non c’è neanche bisogno di chiederlo.

Nessuna risposta, nessuna richiesta interna di chiarimenti o di conferma sulle reali condizioni di organico e di lavoro in una regione in cui due delle tre Soprintendenze, la Direzione regionale dei musei e il Segretariato regionale sono retti da dirigenti ad interim, senza dimenticare che per le Soprintendenze di Alessandria e Novara si è trattato di una sostituzione effettuata a pochi mesi dalle nomine precedenti (quindi con l’aggravante di 2 passaggi di consegne nel giro di meno di 6 mesi).

Nessun interesse per uffici che, pur dovendo, e volendo, tutelare un territorio ricco di beni culturali, forse meno noti rispetto ad altre aree ma non per questo meno “preziosi”, tentano di sopravvivere con carenze di organico che sfiorano i due terzi rispetto al personale previsto, personale che non c’è mai stato tranne che sulla carta: inevitabile (e già tante volte segnalato) effetto della disgregazione degli uffici, avvenuta senza un’approfondita valutazione delle risorse, sia materiali che umane, disponibili.

Non ci si può rassegnare a questo silenzio, assordante nei nostri corridoi e nelle nostre stanze, e chiediamo con forza che il Ministro, con i suoi collaboratori e Direttori Generali, prenda finalmente coscienza della situazione di sofferenza e di abbandono dei “suoi” uffici periferici, si prenda ORA le sue responsabilità, anche rispondendo nel merito alle interrogazioni parlamentari che gli sono rivolte, e agisca ORA di conseguenza, per mettere tutti gli istituti a lui afferenti in condizione di lavorare con dignità e serenità.

(Photocredit: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Torino-portapalatina01.jpg)

Stadi da salvare

“L’ANTICO CENTRO DELLA CITTÀ

DA SECOLARE SQUALLORE

A VITA NUOVA RESTITUITO”

La scritta che campeggia in piazza della Repubblica, sorta alla fine dell’800 sulle ceneri dell’antico mercato medievale, erede a sua volta del foro della città romana, denuncia a chiare lettere che, al di là della retorica della bellezza, il rapporto di Firenze con la propria storia architettonica è da molto tempo assai conflittuale. Alla fine del XIX secolo, in un momento di crisi economica della città e in assenza di norme chiare a tutela del patrimonio culturale (la prima legge organica di tutela verrà varata solo nel 1909) gruppi di costruttori e affaristi fecero scempio del cuore medievale del capoluogo toscano, da pochi anni orfano della corte sabauda, sostituendo all’antico ghetto una schiera di palazzoni anonimi.

L’appello al decoro, alla modernità, al “piccone risanatore” è dunque grimaldello usato e abusato (quello di Firenze è solo uno dei numerosi esempi nazionali) per giustificare operazioni di demolizione e ricostruzione, nelle quali il pubblico interesse non è sempre posto al centro del dibattito.

Non deve stupire dunque la polemica generatasi negli ultimi mesi sulla questione dello stadio di Firenze. Problema annoso, centrato non da ora sulla diatriba “stadio nuovo-restauro dell’attuale impianto”, ma che ha subito un’accelerazione grazie all’arrivo di una nuova proprietà con capitali freschi da investire.

Fino ad oggi, tuttavia, le leggi di tutela inserite nell’ordinamento giuridico italiano, a partire dall’articolo 9 della nostra Carta Costituzionale, garantivano la salvaguardia patrimonio culturale ponendola tra i principi fondanti della nostra Repubblica. Nel caso in cui fosse riconosciuta la culturalità di un bene, la sua protezione non poteva essere derogata in nome di alcun principio, per quanto importante esso fosse riconosciuto.

L’emendamento che ha introdotto, nel Decreto Semplificazioni, l’articolo 55 bis, contenente la cd. “norma salvastadi”, costituisce in tal senso una novità drammaticamente dirompente: il Legislatore sancisce per la prima volta che esistono principi (l’adeguamento agli standard di sicurezza) per i quali è garantita la deroga al Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici. Il Ministero dei Beni Culturali perderà dunque, pressoché totalmente, la possibilità di intervenire garantendo l’armonizzazione tra gli interventi proposti e la conservazione del bene (o dei suoi valori paesaggistici, a seconda dei casi).

Non stupisce che questo piccolo capolavoro di killeraggio normativo, promosso da chi aveva definito “soprintendente” la parola più brutta del vocabolario italiano, abbia trovato una sponda in una forza politica che, pur sedendo sugli opposti scranni del Parlamento, da anni pone al centro delle proprie politiche culturali la diretta abolizione delle Soprintendenze. Del resto, si sa, come nella Firenze dell’Ottocento piegata dalla crisi, in tempi di difficoltà economiche gli appetiti dell’affarismo hanno gioco facile a soverchiare gli interessi di difesa della nostra storia. Già da tempo, del resto, avevamo assistito a inedite convergenze sul tema tra esponenti dei due schieramenti: chi si ricorda del dibattito Boschi – Salvini sulla necessità di “diminuire” (sic!) le Soprintendenze?

Quello di fronte a cui ci troviamo oggi costituisce, in tal senso, il compimento di un percorso programmatico, ma anche l’approssimarsi di una minaccia incombente, ovvero che la breccia aperta in nome del restyling di un vecchio stadio malandato diventi il nuovo corso normativo che in nome di sicurezza e decoro porterà di nuovo il piccone ad abbattersi sul nostro troppo fragile patrimonio culturale. Perché quello che oggi è limitato agli stadi, domani potrà essere con facilità rivolto all’intero patrimonio italiano.