Riforme giustiziate

E’ deflagrata come una bomba, la notizia dell’annullamento, da parte del TAR del Lazio, della nomina di cinque dei venti direttori dei musei autonomi voluti dalla Riforma Franceschini. Fin dalle prime ore di ieri articoli, giudizi e commenti si rincorrono sulla stampa e sui social media.  Al centro della discussione la nazionalità dei dirigenti colpiti dal provvedimento. Molti gridano allo scandalo: l’Italia provincialotta rigetta con cavilli da azzeccagarbugli l’apporto di competenti studiosi internazionali, che in soli due anni hanno fatto (pare) risorgere i musei a loro assegnati.

In questo fiume di parole, indignazione e urla di scandalo, stupisce in primo luogo che molti (ed in primo luogo giornalisti e politici) evidentemente commentino le sentenze senza leggerle: altrimenti saprebbero che, delle sette nomine annullate, cinque riguardano direttori italiani e che, oltre alla questione dei requisiti di cittadinanza previsti dalla legge, ad essere in discussione sono soprattutto le modalità con cui si è svolta la selezione, che non rispondono ai criteri di trasparenza anch’essi richiesti dalla legge. Quale che sia il giudizio sulla riforma e sulla politica culturale di questo Governo, crediamo che non possa essere contestato il principio che gli atti amministrativi devono essere conformi a quanto previsto dalla legge; in caso contrario verrebbero a mancare i fondamenti stessi dello Stato democratico.

Come i giudici hanno rilevato, il TAR è chiamato a pronunciarsi in merito alla legittimità degli atti amministrativi sulla base delle norme di legge, così come i pubblici ufficiali quelle norme sono tenuti a rispettarle e ad applicarle. Non serve a niente riformare il TAR (come hanno prontamente proposto lungimiranti ministri) né l’Amministrazione se non si cambiano le leggi che l’uno e l’altra sono costituzionalmente chiamati ad applicare.

Quella che oggi si tenta maldestramente di nascondere con la cortina di livorosi commenti e reazioni scomposte da parte di politici anche di primissimo piano, aggrappandosi al pretestuoso tema del rigetto dei direttori stranieri (dei quali, ribadiamo, solo uno su sei è stato per adesso toccato dalla sentenza), è una verità che da più di un anno come API cerchiamo di denunciare in tutti i modi: questa riforma è stata concepita male, con criteri poco trasparenti e strumenti giuridici evidentemente discutibili. Se si vogliono cercare i responsabili di quello che oggi è sotto gli occhi di tutti, non ai giudici del TAR bisogna rivolgersi, ma ai vertici tecnici e politici del Ministero.

Per chi vuole andare alle fonti, ecco i link alle due sentenze:

https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=6QJGTLSU2PQXHSNQTP2HE535WE&q=

https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=NUSOUJG3GTIQ4ZACZYHDQADC64&q=

Un pensiero su “Riforme giustiziate

  1. L’ha ribloggato su M5S Orvietoe ha commentato:
    “…questa riforma è stata concepita male, con criteri poco trasparenti e strumenti giuridici evidentemente discutibili…”

    E noialtri siamo d’accordo!
    Dario Franceschini era Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri quando, il 30 marzo 2001, il secondo governo Amato (pieno di ulivisti e democratici di sinistra, precursori dell’attuale PD) emanava il decreto legislativo n° 165 che vietava l’assunzione di funzionari stranieri, anche comunitari, nel settore pubblico. Oggi si straccia le vesti e le “intellighentie” dell’Hasta il Renzismo Siempre accusano i brutti giudici cattivi come i peggio Brunetta ai tempi delle olgiettine.

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