La tutela nel pantano: il personale MiBACT fra pensionamenti e rompicapo assunzioni

Da mesi il termine emergenza è entrato nel vocabolario quotidiano, associato innanzitutto alla situazione sanitaria ed a seguire a quella economica, causata, o quantomeno aggravata, dalla prima.

In questo quadro va riconosciuto che fra i settori portati all’attenzione pubblica per le conseguenze subite causa COVID e limitazioni alle attività figurano beni culturali e turismo. Ben vengano quindi le “Misure urgenti per la tutela del patrimonio culturale e per lo spettacolo”, come recita l’art. 24 del c.d. “Decreto agosto”(D.L. 104 dd. 14 agosto 2020, convertito con L. 126 dd. 13 ottobre 2020). Ben venga anche che la tutela del patrimonio venga perseguita con il potenziamento del personale ad essa dedicato.

Tuttavia, leggendo bene, sorgono alcune perplessità: senza un nesso diretto con l’emergenza COVID e la crisi conseguente, si coglie in effetti l’occasione per il reclutamento, in varie forme, di funzionari e dirigenti. Non saremo certo noi, avvezzi a un’ormai cronica carenza di personale, a lamentarcene, tanto più che si deve constatare che la norma stessa, involontariamente, manifesta la causa per cui si debba intervenire con urgenza: la penalizzazione del settore della tutela, più volte denunciata da API-MiBACT, nelle riforme degli ultimi anni, tant’è che i funzionari e i dirigenti a tempo sono destinati solo ed esclusivamente alle Soprintendenze Archeologia Belle Arti e Paesaggio (ma anche archivistiche e bibliografiche) con esplicita esclusione degli Istituti autonomi (leggi grandi Musei).

Secondo l’atto di programmazione del fabbisogno di personale 2019-2021 del 3 aprile 2020, nonostante le 860 assunzioni del 2019, i funzionari erano 4177 su 5427 da organico, destinati a ridursi a causa delle cessazioni – circa 500 all’anno – a 2533 a fine 2021, con una carenza di 2894. Ancor peggio per i Dirigenti di II fascia, ovvero per lo più i Soprintendenti: 192 in organico, ma già a marzo scorso solo 103 ed a fine settembre 94 effettivi in ruolo, ed in prospettiva 2021 uno sparuto drappello di 62.

Merita anche soffermarsi sulla loro distribuzione, prendendo come confronto il dato del 2012, che vedeva in servizio 22 archeologi (ed uno di I fascia) a fronte di 37 architetti, 35 archivisti, 24 storici dell’arte, 20 amministrativi, 18 bibliotecari; a fine settembre si registravano 24 architetti, 7 archivisti, 31 storici dell’arte, 11 amministrativi, 11 bibliotecari e soli 10 archeologi (ma nel frattempo divenuti 9, compresi quelli presso gli uffici centrali, o alla direzione di Musei, e perfino uno in distacco presso altra amministrazione).

Bene, il piano assunzionale 2019-2021 prevedeva l’assunzione per il 2020 da graduatorie esistenti di uno sparuto numero di funzionari architetti e addetti alla comunicazione, rinviando quella, con nuovo concorso, di un più folto contingente di funzionari di vari profili specialistici (250) auspicabilmente nel 2021.

Le Soprintendenze però non possono aspettare e quindi, non appena banditi i concorsi già autorizzati per funzionari tecnici, grazie al “Decreto agosto” sarà permesso il ricorso a incarichi di collaborazione a funzionari dei medesimi profili, per una durata di quindici mesi, ma non oltre il 2021; inoltre si riapre la stagione dei “Giovani per la cultura”. Senza colmare i vuoti nell’organico, perché non si parla di aumentare i posti a concorso, si destinano consistenti risorse aggiuntive all’ennesimo ricorso al precariato – ed è notizia di un paio di giorni fa la seconda lettera di costituzione in mora da parte della Commssione Europea per l’abuso di questo strumento da parte della Pubblica Amministrazione, segnatamente in settori molto vicini al nostro (scuola, alta formazione artistica e musicale, personale accademico).

A dire il vero, se i precari sono tappabuchi, fino al massimo al 2021, non è prevista nessuna “clausola” risolutiva nel caso i concorsi si perfezionassero prima di tale data. Sorge quindi il sospetto che questo reclutamento sia solo una scorciatoia per un rapido ingresso nell’amministrazione, con il solo vincolo della trasparenza e pubblicità della procedura comparativa come nel caso dei 6 professionisti chiamati a collaborare alla Segreteria tecnica di Pompei trasformati in dipendenti grazie a una selezione pubblica a loro riservata, bruciando sul tempo gli ultimi idonei del “concorsone” dei 500.

Inoltre, a questi funzionari a tempo “possono essere attribuite le funzioni di responsabile unico del procedimento”. Ma il ruolo di RUP può essere rivestito da un funzionario solamente dopo 3 (o più) anni di servizio o esperienza professionale nell’affidamento di appalti e, secondo le Linee guida dell’ANAC, deve essere individuato fra i dipendenti di ruolo delle Amministrazioni. Ci troviamo, quindi, di fronte a un pericoloso precedente di esternalizzazione del ruolo del RUP avallato da una norma di rango superiore rispetto alle Linee guida dell’ANAC. Inoltre, questa disposizione danneggia ulteriormente i funzionari archeologi e storici dell’arte che, a fronte di altre professionalità che grazie all’iscrizione agli albi riescono più facilmente ad acquisire l’anzianità richiesta dalla norma per ricoprire il ruolo di RUP, già attualmente faticano, dall’interno, a vedere riconosciuta la propria competenza anche quando esclusiva, come sugli scavi archeologici.

Nel “Decreto agosto” ancora più problematico appare il quadro del reclutamento dei dirigenti, le cui carenze finora sono state coperte con ampio ricorso ad interim e soprattutto con i famosi “comma 6”, ovvero incarichi a tempo sulla base di valutazione dei curricula. A fronte dell’autorizzazione, fin da ottobre 2017 e novembre 2018, ad assumere, tramite concorso, 17 dirigenti tecnici (5 architetti, 4 archeologi, 8 archivisti) e 9 amministrativi, di gran lunga  insufficienti rispetto ai vuoti di organico , già nel 2019 si prevedevano ulteriori 12 + 11 dirigenti. Ma solo il reclutamento dei dirigenti amministrativi è stato avviato (corso concorso SNA), diversamente da quello per i dirigenti tecnici che, dopo un faticosissimo iter, ad aprile sembrava decisamente diretto verso una procedura gestita in via autonoma e diretta, per la specificità dei profili coinvolti.

A fronte di ciò il “Decreto agosto” si dedica alla selezione dei dirigenti tecnici “anche” tramite un corso-concorso, presso la Scuola Nazionale dell’Amministrazione in convenzione con la Scuola dei Beni e delle Attività culturali (emanazione del MiBACT), che comporta una frequenza della durata di dodici mesi. Sarebbe interessante comprendere come possa rientrare fra le “misure urgenti” la regolamentazione di una modalità di reclutamento, certo prevista dalla normativa a complementarità del concorso ma sicuramente in controtendenza rispetto all’esigenza di celerità e semplificazione su cui si poneva l’accento appena ad aprile (prevedendo di avvalersi delle modalità consentite dalla “Legge concretezza”, L. 56/2019), anziché puntare a sbloccare i concorsi per titoli ed esami grazie ai quali potrebbe essere bandito un massimo del 50 per cento dei posti autorizzati.

Questo consentirebbe sicuramente anche di valorizzare le risorse interne, capaci di esercitare immediatamente le funzioni dirigenziali, senza necessità di un corso di dodici mesi, come riconosciuto nello stesso Decreto. Questo, infatti, autorizza l’ampliamento del ricorso ad incarichi dirigenziali (i citati “comma 6) attribuiti a funzionari di ruolo, in attesa dei dirigenti selezionati e poi formati con l’iter del corso-concorso. E mentre per i funzionari a tempo non è prevista alcuna clausola risolutiva, per questi dirigenti a tempo la norma prevede esplicitamente la decadenza  automatica dall’incarico alle nuove immissioni,

In tutto ciò restano, inoltre, alcuni punti poco chiari: oltre al corso-concorso, si darà seguito alla procedura celere auspicata ad aprile, quindi concorsi per titoli ed esami? E soprattutto in quali percentuali, rispetto al corso-concorso e tra i vari profili – visto lo squilibrio che si è creato negli anni, a tutto discapito della professionalità degli archeologi? A questo proposito, poi, un ultimo inquietante dubbio nasce da alcune recenti dichiarazioni, tra gli altri, del Capo di Gabinetto del Ministro, Lorenzo Casini: il corso-concorso sarà finalizzato a formare dirigenti in parte destinati alla tutela, in parte alla direzione dei Musei: un passo indietro rispetto alle selezioni internazionali? O forse un requisito o almeno un criterio preferenziale per potervi poi partecipare?

E invece, nel caso delle supplenze affidate ai funzionari, con quali criteri questi saranno selezionati? Di questo nel “Decreto agosto” non si fa cenno.

Staremo a vedere; speriamo solo che l’urgenza non sia un nuova scorciatoia  per  modalità di selezione dei professionisti del patrimonio culturale non corrispondenti al dettato costituzionale.

Archeologia ed emergenza COVID-19

A pochi giorni dall’appello congiunto delle Associazioni di categoria e dopo una prima nota in cui segnalavamo la grave situazione degli Uffici lombardi, torniamo a far sentire la nostra voce sulle questioni legate all’emergenza Coronavirus, per chiedere la sospensione delle attività di sorveglianza e scavo archeologico su tutti i cantieri. Perché la tutela archeologica e la salute dei lavoratori devono essere entrambe considerate prioritarie.

Di seguito il testo della nostra nota, inviata ai competenti organi centrali del Ministero.

 

Considerata la perdurante situazione di emergenza sanitaria da COVID-19 che investe ormai l’intero territorio nazionale, con un trend di casi purtroppo in continuo aumento, API – Archeologi del Pubblico Impiego rileva con viva preoccupazione che le disposizioni fornite sino ad ora da codeste Direzioni Generali (in particolare con la Circolare 10 della DG ABAP del 18/03/2020 e con la nota della DG MU prot. 4344 del 17/03/2020, che fanno seguito alla Circolare n. 18 del SG del 16/03/2020), non contengono alcuna indicazione vincolante ed univoca per tutte le sedi periferiche (Soprintendenze ABAP, che Direzioni Regionali Musei, Istituti autonomi) per tutelare i lavoratori delle sedi MiBACT, in particolare nelle Regioni dell’Italia settentrionale che registrano il maggior numero di casi di contagio e per le quali ci saremmo aspettati l’emanazione di apposite disposizioni, come già richiesto da questa Associazione lo scorso 16 marzo con nota formale alla quale attendiamo tutt’ora riscontro.

Si è dunque venuta a determinare una grave disomogeneità a livello nazionale, pur in presenza di una comune situazione emergenziale, legata all’ampia discrezionalità lasciata ai singoli Dirigenti su quali siano realmente i servizi minimi indifferibili per garantire la funzionalità delle sedi: attualmente alcuni Uffici risultano del tutto chiusi, con tutti i lavoratori in modalità di smart working, mentre in altri si persiste con un’apertura assicurata dalla rotazione del personale. Particolari difficoltà nell’affrontare la gestione di questa condizione si manifestano nelle Soprintendenze di più recente istituzione, pesantemente sotto-organico e spesso prive di dirigenti dedicati (con ruoli ricoperti ad interim), per le quali la gestione è nei fatti lasciata in carico al personale in servizio.

Sono del tutto mancate e continuano a mancare indicazioni univoche e vincolanti su quali siano “le attività indifferibili da rendere in presenza”, fatta salva la oggettiva necessità di garantire negli istituti e nei luoghi della cultura idonei presidi di vigilanza. Si rileva che altre Direzioni dello stesso Ministero, quale in particolare la Direzione Generale Biblioteche e Diritto d’Autore, con propria Circolare n. 9 del 19/03/2020, hanno fornito in maniera dettagliata e circostanziata le indicazioni in ordine alle attività indifferibili.

È evidente che la continuità dell’azione amministrativa possa essere assicurata con l’utilizzo delle piattaforme, quali Giada, che consentono la completa dematerializzazione del flusso documentale e che possono essere ordinariamente gestite in modalità agile dai funzionari istruttori e dai Dirigenti, garantendo la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti stessi, pur vigendo la sospensione dei termini amministrativi, stabilita dall’art. 103, c. 1, del D.L. 18 “Cura Italia” del 18/03/2020.

API – Archeologi del Pubblico Impiego segnala altresì la assoluta mancanza di disposizioni in merito all’esercizio delle funzioni istituzionali di tutela, considerando da una parte quanto disposto dalla Circolare n. 9 del 10/03/2020 della DG ABAP (“salvo casi di assoluta indifferibilità ed urgenza da valutare a cura dei dirigenti, ai quali si rimanda l’adozione di tutte le dovute cautele, i medesimi disporranno la sospensione delle missioni in Italia e all’estero nonché dei sopralluoghi di servizio”) e dall’altra la persistente operatività di cantieri dove società specializzate o singoli professionisti archeologi operano per scavi e/o attività di assistenza archeologica sotto la direzione scientifica del personale del Ministero, cui come noto competono in via esclusiva, ai sensi dell’art. 88 del D.Lgs. 42/2004, “le opere per il ritrovamento“ di beni archeologici.

Al momento le Soprintendenze non risultano essere in condizioni di esercitare i propri compiti di tutela attraverso l’adeguato svolgimento delle attività di ispezione e direzione scientifica, mentre pare non sempre garantita la possibilità di lavorare in sicurezza per i professionisti archeologi operanti direttamente sul campo, in condizioni che spesso non garantiscono il rispetto delle distanze minime di sicurezza. Nonostante che il nuovo DPCM del 22 marzo u.s. consideri le opere di cui al codice ATECO 42 (opere di pubblica utilità) tra quelle non coinvolte nello stop finalizzato al contenimento del contagio da COVID-19, si richiede dunque l’adozione di disposizioni generali finalizzate alla sospensione cautelativa di tutte le attività di scavo e/o assistenza archeologica, non essendo garantito l’esercizio delle funzioni istituzionali per cause di forza maggiore, con conseguente e necessario blocco delle attività connesse nei cantieri, salvo specifiche esigenze di opere di assoluta indifferibilità ed urgenza, quali quelle finalizzate alla gestione dell’attuale emergenza sanitaria.

In ultima analisi avremmo auspicato, da parte degli Organi Centrali del Ministero, un’attenzione più puntuale in merito agli aspetti critici che l’attuale emergenza comporta relativamente all’azione di tutela archeologica, soprattutto quella da esercitarsi su cantieri di terze parti, connessi con l’esecuzione di opere pubbliche e/o di pubblica utilità. Restiamo dunque in attesa di una risposta chiara da parte di codesti Uffici, che tenga conto di quanto più volte segnalato da questa Associazione e di quanto richiesto dall’appello congiunto delle Associazioni di settore del 13 marzo u.s.

 

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Credits: Sergei Piunninen via Pixabay

Lombardia: emergenza COVID – 19

Pubblichiamo di seguito il testo dell’appello che la nostra Associazione ha inviato agli Uffici Centrali e agli organi periferici lombardi del Ministero, affinché siano prese misure efficaci per la tutela della salute dei lavoratori, in una situazione nella quale operare in sicurezza per la tutela territoriale diventa sempre più difficile.

 

Considerata la situazione di emergenza sanitaria da COVID-19 che vede alcune province lombarde identificate come zona rossa fin dal DPCM del 25 febbraio 2020 e che allo stato attuale individua la Lombardia come la Regione più colpita a livello nazionale (13.272 casi al 15 marzo sul totale nazionale di 24.747) e in particolare le province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Milano come quelle in cui si registra il maggior numero di infetti, purtroppo in continuo aumento, API – Archeologi del Pubblico Impiego – Lombardia rileva con rammarico come nessuna indicazione specifica sia stata ad oggi fornita per tutelare i lavoratori e gli utenti delle sedi MiBACT relative ai territori menzionati. Nella circolare 8/2020 della Direzione Generale ABAP si arriva addirittura al paradosso dell’allegato 2 in cui, per poter usufruire del lavoro agile, anche a chi è residente in una zona rossa viene chiesto di dichiarare di non essere o essere transitato nel territorio di una zona rossa.

In particolare, nessuna disposizione è stata data in merito alla gestione dell’emergenza. Né appaiono sufficienti le disposizioni, estremamente vaghe e generiche, contenute nella Circolare n. 17 emanata dal Segretariato Generale lo scorso 11 marzo, nella quale mancano le indicazioni sulle attività ritenute indifferibili e sui servizi minimi da garantire, ma che soprattutto non tiene conto dei diversi livelli di emergenza presenti sul territorio nazionale. Stante la situazione assolutamente drammatica e senza precedenti che caratterizza alcune aree del paese, e segnatamente le provincie lombarde, si imporrebbero invece, anche da parte del Ministero, misure che tenessero conto dell’elevatissimo livello di rischio per i lavoratori di queste ultime, allo scopo di salvaguardarne in modo efficace la salute.

 

dott. Italo M. Muntoni                                                               dott.ssa Grazia Maria Facchinetti

Presidente Nazionale di API – MiBACT                                   Coordinatore Regionale di API – MiBACT Lombardia

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