Scivoloni milanesi

Il volto seminascosto da mascherina anti-contagio e da elmetto da cantiere, il sindaco di Milano Beppe Sala ha orgogliosamente mostrato, in un video postato sul proprio profilo facebook ufficiale, che anche in una città messa in scacco dalla pandemia i lavori per la Metro M4 non si fermano. A rammaricare il primo cittadino però non sono tanto i problemi legati alla COVID-19, quanto lo sciagurato rinvenimento di strutture murarie di interesse archeologico, che appaiono a favore di telecamera accompagnate dai suoi commenti ironici, quasi a consolare l’ingegner Mannella, presidente del consorzio dei costruttori: “Mancavano solo i muri romani eh? Quando le cose vanno in un certo modo non ce n’è!”.

Troviamo francamente inaccettabile che in un contesto come quello che ci troviamo a vivere, gravato da pesanti incognite per il futuro dovute all’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese e ha letteralmente travolto Milano e la Lombardia, il Sindaco di una città che ha cercato negli ultimi anni di accreditarsi come motore non solo economico, ma anche culturale dell’Italia, pronunci frasi così improvvide, mostrando spregio e disinteresse nei confronti delle radici storiche del territorio che ha l’onore di amministrare.

Signor Sindaco, speriamo che simili affermazioni siano solo il frutto dello stress che i gravosi compiti dei quali è investito in queste settimane le hanno procurato. Ci auguriamo dunque che ella voglia porgere le sue scuse a tutti gli archeologi, dai colleghi delle Soprintendenze che assicurano, ove necessario, la propria presenza sui cantieri ancora aperti, ai professionisti impegnati senza sosta nelle attività indifferibili di scavo e sorveglianza, a quanti in questo periodo sono bloccati a casa senza lavoro. Perché la rinascita del nostro Paese non può prescindere dalla mobilitazione delle nostre migliori energie intellettuali e dalla valorizzazione delle nostre risorse culturali, ivi compresa l’attività di tutela del patrimonio, senza deroghe o scorciatoie trovate in nome della ripresa economica.

Screenshot video Sala

Archeologia ed emergenza COVID-19

A pochi giorni dall’appello congiunto delle Associazioni di categoria e dopo una prima nota in cui segnalavamo la grave situazione degli Uffici lombardi, torniamo a far sentire la nostra voce sulle questioni legate all’emergenza Coronavirus, per chiedere la sospensione delle attività di sorveglianza e scavo archeologico su tutti i cantieri. Perché la tutela archeologica e la salute dei lavoratori devono essere entrambe considerate prioritarie.

Di seguito il testo della nostra nota, inviata ai competenti organi centrali del Ministero.

 

Considerata la perdurante situazione di emergenza sanitaria da COVID-19 che investe ormai l’intero territorio nazionale, con un trend di casi purtroppo in continuo aumento, API – Archeologi del Pubblico Impiego rileva con viva preoccupazione che le disposizioni fornite sino ad ora da codeste Direzioni Generali (in particolare con la Circolare 10 della DG ABAP del 18/03/2020 e con la nota della DG MU prot. 4344 del 17/03/2020, che fanno seguito alla Circolare n. 18 del SG del 16/03/2020), non contengono alcuna indicazione vincolante ed univoca per tutte le sedi periferiche (Soprintendenze ABAP, che Direzioni Regionali Musei, Istituti autonomi) per tutelare i lavoratori delle sedi MiBACT, in particolare nelle Regioni dell’Italia settentrionale che registrano il maggior numero di casi di contagio e per le quali ci saremmo aspettati l’emanazione di apposite disposizioni, come già richiesto da questa Associazione lo scorso 16 marzo con nota formale alla quale attendiamo tutt’ora riscontro.

Si è dunque venuta a determinare una grave disomogeneità a livello nazionale, pur in presenza di una comune situazione emergenziale, legata all’ampia discrezionalità lasciata ai singoli Dirigenti su quali siano realmente i servizi minimi indifferibili per garantire la funzionalità delle sedi: attualmente alcuni Uffici risultano del tutto chiusi, con tutti i lavoratori in modalità di smart working, mentre in altri si persiste con un’apertura assicurata dalla rotazione del personale. Particolari difficoltà nell’affrontare la gestione di questa condizione si manifestano nelle Soprintendenze di più recente istituzione, pesantemente sotto-organico e spesso prive di dirigenti dedicati (con ruoli ricoperti ad interim), per le quali la gestione è nei fatti lasciata in carico al personale in servizio.

Sono del tutto mancate e continuano a mancare indicazioni univoche e vincolanti su quali siano “le attività indifferibili da rendere in presenza”, fatta salva la oggettiva necessità di garantire negli istituti e nei luoghi della cultura idonei presidi di vigilanza. Si rileva che altre Direzioni dello stesso Ministero, quale in particolare la Direzione Generale Biblioteche e Diritto d’Autore, con propria Circolare n. 9 del 19/03/2020, hanno fornito in maniera dettagliata e circostanziata le indicazioni in ordine alle attività indifferibili.

È evidente che la continuità dell’azione amministrativa possa essere assicurata con l’utilizzo delle piattaforme, quali Giada, che consentono la completa dematerializzazione del flusso documentale e che possono essere ordinariamente gestite in modalità agile dai funzionari istruttori e dai Dirigenti, garantendo la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti stessi, pur vigendo la sospensione dei termini amministrativi, stabilita dall’art. 103, c. 1, del D.L. 18 “Cura Italia” del 18/03/2020.

API – Archeologi del Pubblico Impiego segnala altresì la assoluta mancanza di disposizioni in merito all’esercizio delle funzioni istituzionali di tutela, considerando da una parte quanto disposto dalla Circolare n. 9 del 10/03/2020 della DG ABAP (“salvo casi di assoluta indifferibilità ed urgenza da valutare a cura dei dirigenti, ai quali si rimanda l’adozione di tutte le dovute cautele, i medesimi disporranno la sospensione delle missioni in Italia e all’estero nonché dei sopralluoghi di servizio”) e dall’altra la persistente operatività di cantieri dove società specializzate o singoli professionisti archeologi operano per scavi e/o attività di assistenza archeologica sotto la direzione scientifica del personale del Ministero, cui come noto competono in via esclusiva, ai sensi dell’art. 88 del D.Lgs. 42/2004, “le opere per il ritrovamento“ di beni archeologici.

Al momento le Soprintendenze non risultano essere in condizioni di esercitare i propri compiti di tutela attraverso l’adeguato svolgimento delle attività di ispezione e direzione scientifica, mentre pare non sempre garantita la possibilità di lavorare in sicurezza per i professionisti archeologi operanti direttamente sul campo, in condizioni che spesso non garantiscono il rispetto delle distanze minime di sicurezza. Nonostante che il nuovo DPCM del 22 marzo u.s. consideri le opere di cui al codice ATECO 42 (opere di pubblica utilità) tra quelle non coinvolte nello stop finalizzato al contenimento del contagio da COVID-19, si richiede dunque l’adozione di disposizioni generali finalizzate alla sospensione cautelativa di tutte le attività di scavo e/o assistenza archeologica, non essendo garantito l’esercizio delle funzioni istituzionali per cause di forza maggiore, con conseguente e necessario blocco delle attività connesse nei cantieri, salvo specifiche esigenze di opere di assoluta indifferibilità ed urgenza, quali quelle finalizzate alla gestione dell’attuale emergenza sanitaria.

In ultima analisi avremmo auspicato, da parte degli Organi Centrali del Ministero, un’attenzione più puntuale in merito agli aspetti critici che l’attuale emergenza comporta relativamente all’azione di tutela archeologica, soprattutto quella da esercitarsi su cantieri di terze parti, connessi con l’esecuzione di opere pubbliche e/o di pubblica utilità. Restiamo dunque in attesa di una risposta chiara da parte di codesti Uffici, che tenga conto di quanto più volte segnalato da questa Associazione e di quanto richiesto dall’appello congiunto delle Associazioni di settore del 13 marzo u.s.

 

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Credits: Sergei Piunninen via Pixabay

Riorganizzazioni perenni

Con le bozze rese note in questi giorni si sono finalmente svelati i dettagli sul progetto di riorganizzazione del MiBAC del quale il Ministro Bonisoli aveva provveduto a illustrare le linee generali negli incontri tenutisi il 20 e il 21 marzo scorsi, ai quali anche API era stata invitata insieme alle altre associazioni di categoria.

Nonostante un percorso di elaborazione condivisibile nella forma, che ha visto il coinvolgimento diretto di associazioni e sindacati tramite incontri e riunioni, e a dispetto della disponibilità a operare cambiamenti, manifestata dal Ministro stesso all’emergere delle prime perplessità durante la presentazione di marzo, la bozza di decreto presenta immutate tutte le criticità sulle quali ci eravamo espressi pubblicamente dopo l’incontro.

Il testo diffuso, infatti, non incide sugli aspetti maggiormente controversi della riforma Franceschini, ma si configura come una riorganizzazione che mira a ridurre il campo di operatività di alcuni uffici periferici, centralizzando sulle direzioni generali alcune funzionalità.

I Segretariati Regionali infatti vengono smantellati e sostituiti da  strutture distrettuali sovraregionali con compiti ridotti e residuali. Tale depotenziamento, se da un lato contribuisce a semplificare la macchina amministrativa, risulta di difficile attuazione in un panorama di estrema frammentazione degli organi territoriali preposti alla tutela. A fronte di Soprintendenze provinciali o sovraprovinciali (il cui numero ancora non è noto, ma che in base alle dichiarazioni potrebbe risultare addirittura superiore alle 37 attuali), l’eliminazione di strutture di livello regionale comporta il riaccentramento a Roma di una serie di funzioni (emanazione dei decreti di vincolo e pronunciamenti delle verifiche di interesse in primo luogo), con un conseguente sbilanciamento dei carichi di lavoro sulle direzioni generali ed un prevedibile allungamento dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi.

Sorge il sospetto che l’accentramento di molte funzioni di tutela a Roma vada nella direzione di svuotare di competenze gli uffici periferici per facilitare in un secondo momento il passaggio delle restanti competenze alle Regioni.

La scelta, inoltre, di creare una Direzione Generale che gestisca almeno in parte contratti e concessioni per gli uffici territoriali del Ministero costituisce ulteriore motivo di preoccupazione. Se da un lato è condivisibile la volontà di dettare criteri uniformi in materia, ancora una volta bisogna sottolineare il rischio di allungare a dismisura la tempistica connessa alla stipula dei contratti.

Privi del raccordo dei segretariati regionali, gli altri uffici periferici sembrano destinati a navigare in ordine sparso, senza la funzione di coordinamento a livello regionale assicurata dai CoRePaCu. A complicare ulteriormente il quadro interviene la riforma dei Poli Museali Regionali, trasformati in Direzioni Territoriali delle Reti Museali. L’accelerazione su una funzione di coordinamento dei vari musei (in una prospettiva di coinvolgimento degli istituti di cultura di proprietà di altri Enti) può risultare importante, in modo da potenziare la valorizzazione del patrimonio; resta tuttavia il fatto che la creazione di strutture sovraregionali contribuirà a indebolire l’azione del Ministero sui territori, scollando ulteriormente la valorizzazione dalla tutela. La stessa possibilità (adombrata, ma non chiaramente definita a livello di regolamento) del ritorno di (alcuni) musei e aree archeologiche alle SABAP contribuirebbe, in assenza di un coordinamento forte, alla creazione di una valorizzazione a due velocità (o a tre, considerando il ruolo dei musei autonomi), per la quale rischiamo di assistere ad una dispersione di risorse economiche e umane, aggravata dall’allontanamento delle sedi delle Direzioni Territoriali dai comprensori museali di competenza e dall’evidente confusione generata dalla presenza di più strutture differenti che si occuperanno di valorizzazione.

Gli stessi musei autonomi, inoltre, si trovano ad essere ridimensionati nella loro discrezionalità, privati come sono dei consigli di amministrazione, elemento questo che oltre a costituire una garanzia specifica per ogni museo (in quanto tagliato sulle specificità dello stesso), avvicinava per la prima volta i grandi musei italiani a quelli internazionali come modalità di gestione.

Risulta infine incomprensibile ai limiti dell’autolesionismo l’abolizione di due luoghi della cultura autonomi a tema archeologico: il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e il Parco Archeologico dell’Appia Antica. La scelta di privare tali istituti dell’autonomia appare oscura e poco giustificabile, in quanto penalizza strutture che, pur estremamente differenti tra loro, per ragioni diverse costituiscono importanti luoghi di valorizzazione del patrimonio: da potenziare, piuttosto che da cassare.

Con la perdita di autonomia di Villa Giulia rischia di venire meno l’operazione di rivitalizzazione di un museo chiave per la comprensione delle antichità etrusche e italiche partita con la nomina dell’attuale direttore. Per l’Appia Antica siamo all’assurdo: il nuovo responsabile, scelto dopo una selezione internazionale durata mesi, si trova ad essere dimissionato ancor prima della presa di servizio.

Infine, se per gli organi preposti alla tutela apparentemente quasi nulla cambia, non possiamo non ribadire i potenziali rischi della commistione di funzioni di tutela e valorizzazione affidate alle SABAP, con la possibile consegna a queste ultime di alcuni luoghi della cultura, che potrebbe confliggere con la persistenza di strutture territoriali di gestione dei musei, innescando conflitti di competenze e difficoltà nella gestione congiunta delle attività di valorizzazione.

Se poi viene scongiurato il rischio della creazione di una “Soprintendenza del Mare” la cui effettiva operatività sembrava di difficile attuazione, resta da chiarire il funzionamento delle previste “sedi distaccate dedicate al patrimonio subacqueo” e i rapporti di queste con gli storici nuclei di archeologia subacquea ancora esistenti e lasciati ai margini nel corso della precedente riforma.

 

A fronte del quadro prospettato, restano tutt’ora in piedi i principali problemi organizzativi del Ministero: ancora lamentiamo infatti la persistente assenza di una catena di comando tecnica consentita solo da uffici settoriali e la separazione di fatto tra funzioni di tutela e valorizzazione.

In buona sostanza, ci troviamo di fronte ad un testo che non risolve i problemi della precedente organizzazione voluta dall’allora Ministro Franceschini, ma che, se possibile, rischia di complicare ulteriormente il quadro complessivo. Questo nonostante la fase di ascolto della nostra, come di altre associazioni e sigle sindacali, che pure avevamo avuto modo di apprezzare, ma alla quale evidentemente non è seguito un recepimento delle istanze segnalate.

Il rischio adesso è di subire un ulteriore processo di riorganizzazione che si troverà ad intervenire sugli organi ministeriali già provati dai recenti stravolgimenti, con un conseguente, ulteriore colpo alle attività di tutela e valorizzazione. L’esatto contrario di quanto sarebbe necessario per i Beni Culturali italiani.

Colosseo restauro

Le riforme che verranno. Lettera di API al Ministro Bonisoli

Dopo l’incontro con il Ministro avvenuto il 20 marzo scorso, riguardante la ormai imminente nuova riforma organizzativa del MiBAC, API ha avviato una riflessione sulle principali criticità del nuovo assetto del Ministero, inviando le proprie considerazioni all’On. BOnisoli. Di seguito riportiamo il testo della lettera:

Gentilissimo Sig. Ministro,

L’Associazione Archeologi del Pubblico Impiego – API, alla luce dell’incontro tenutosi il 20.03.2019 e dei documenti di presentazione della Riforma divulgati anche successivamente, pur apprezzando la soluzione adottata nel voler condividere con le associazioni la riforma in atto e nel voler intraprendere azioni volte al superamento delle carenze di organico e al miglioramento dei processi, degli strumenti per la gestione dei contratti, delle sponsorizzazioni, degli appalti, delle concessioni, delle forme di partenariato pubblico/privato, ritiene doveroso porre all’attenzione Sua e del Presidente della Commissione alcune criticità della proposta presentata.

È innanzitutto doveroso sottolineare come API abbia più volte ribadito, in documenti pubblici e in note trasmesse alla Segreteria del Ministro e all’attenzione della stessa Commissione, che la tutela archeologica ha specificità proprie. Tali specificità non consistono solo nella particolare azione di controllo istituzionale sul territorio ma anche nell’esigenza di disporre di strutture per la conservazione e il restauro del patrimonio archeologico rinvenuto; sono condizioni che impongono la presenza di una dirigenza con competenze specifiche del settore nonché una visione di intervento su larga scala territoriale, che sia in grado di garantire un’azione di tutela omogenea ed efficace su un patrimonio che si accresce ogni giorno. Per tale ragione la soprintendenza unica, così come attualmente concepita e così come si prospetta nel prossimo futuro, non è una soluzione efficace né per la preservazione del patrimonio culturale né per una piena soddisfazione dei diritti dei cittadini.

Infatti, la centralità dei cittadini nell’azione ministeriale (più volte indicata come fulcro della riforma in itinere) deve essere intesa come dovere dello Stato di preservare il patrimonio culturale della nostra Nazione per l’educazione e il godimento di tutti i cittadini, delle generazioni presenti e future, e non come mero coinvolgimento per fini privatistici. In tal senso, solo un’azione di tutela unitaria e competente può salvaguardare tale patrimonio e consentirne forme adeguate di valorizzazione.

Partendo da questo ineludibile assioma, che va attuato con tutti i mezzi in possesso del MiBAC , ossia l’unitarietà delle azioni di tutela, conservazione e  valorizzazione, e alla base di questi, della ricerca scientifica, si ritiene che la proposta presentata presenti dei punti di debolezza che possono inficiare tali pratiche e quindi annullare il beneficio per i cittadini, come sopra inteso.

 

Si richiede pertanto un ripensamento fattivo sui seguenti aspetti critici:

  1. SABAP – Al di là di tutte le criticità sopra esposte, per cui API continua a ritenere le Soprintendenze uniche soluzioni non efficaci e ad auspicare il ritorno a Soprintendenze archeologiche regionali, il prospettato moltiplicarsi delle SABAP sul territorio non porterà di certo alcun avvicinamento ai cittadini, ma di fatto alla perdita di una visione scientifica più ampia, ad una inevitabile perdita di fiducia da parte degli Enti locali e dei cittadini nei confronti di uno Stato che risulterà eccessivamente frammentato e letteralmente inabile al coordinamento delle proprie azioni sul territorio. Tali SABAP non tengono peraltro conto delle dinamiche storiche e culturali che avevano portato, oltre un secolo fa, all’istituzione di uffici di tutela con specifiche estensioni territoriali.

Si chiede pertanto quantomeno la riduzione delle SABAP a una unità regionale o a non più di 2 unità (per limitati casi dove estensione geografica e caratteristiche storiche potrebbero giustificare tale divisione). Inoltre, attualmente le SABAP sono in grave difficoltà a causa della frequente mancanza di una sede unitaria (mentre si richiede una gestione unitaria della pratica) e per la difformità delle procedure tra i vari settori tecnico-scientifici (nonostante la richiesta di produrre un unico parere). Appare poi contraddittoria, a fronte delle strutture unificate create con il DM 44/2016, la prospettata istituzione di “Soprintendenze archeologiche del mare”, il cui disegno appare quanto mai nebuloso rispetto all’importantissimo ruolo di tutela che potrebbero (e dovrebbero) ricoprire a livello interministeriale. Si rappresenta, infine, il rischio di un ulteriore ed inutile sperpero di risorse da dedicare a discutibili passaggi patrimoniali tra i vari uffici, per i quali gli stessi uffici non sono in alcun modo attrezzati.

Per il superamento di tali problematiche si richiede la costituzione di una specifica commissione tecnica formata anche da personale degli uffici periferici.

 

  1. SABAP, AREE ARCHEOLOGICHE E MUSEI – L’attribuzione “di aree e parchi archeologici minori in capo alle SABAP, anche al fine di rafforzare il nesso tra le attività di tutela, di ricerca e di valorizzazione”, così come delineata, non si rivelerà efficace ma anzi dannosa. Con la precedente riforma, a tutti i musei è stata imposta una mission più improntata allo sviluppo della valorizzazione. Per ragioni incomprensibili, le aree archeologiche, salvo qualche raro caso, sono rimaste indietro. Mentre si costituivano le reti museali, i pacchetti turistici e le offerte integrate, luoghi della cultura di piena dignità restavano fuori dai circuiti, perché affidati a uffici che non avevano più tra le loro competenze la valorizzazione. Il DM 14 marzo 2018 ha in parte sanato la situazione e restituito almeno ad alcune aree archeologiche l’opportunità di rientrare nei circuiti dell’offerta culturale strutturata dal lavoro dei Poli.

Ora, questo nuovo intervento che tende a riportare le aree archeologiche agli uffici di tutela si rivelerà inevitabilmente dannoso se non prevederà che musei territoriali, aree e parchi archeologici siano trattati in maniera omogenea e unitaria e se non saranno previsti  quantomeno degli uffici dedicati per regolamentare tali aspetti: se fanno capo all’ufficio di tutela, devono poter rientrare nella rete museale (e quindi occorre internamente alle SABAP un ufficio di valorizzazione dedicato, con il relativo Responsabile); se fanno capo all’ufficio di valorizzazione, devono poter essere tutelati.  In caso contrario, le aree e i parchi archeologici minori saranno irrimediabilmente scollati da qualsiasi sistema di valorizzazione museale ad ampio respiro e perderanno la loro coesione con il museo territoriale, espressione appunto di un dato territorio archeologico.

In altre parole musei archeologici e relative aree archeologiche di un dato territorio devono poter stare insieme per garantire una reale valorizzazione e anche una più organica e unitaria azione di tutela.

 

  1. RETI MUSEALI SOVRAREGIONALI – (in numero di 11). Oltre a non risultare chiara la loro organizzazione, accorperebbero realtà museali di regioni diverse per storia e genesi museale, eliminando di fatto qualsiasi azione di coordinamento con gli altri uffici periferici (sia con le SABAP, che potrebbero diventare più numerose, sia con i Segretariati). Preoccupa che tale divisione non rispecchi quella che è la struttura dello Stato Italiano, articolato in Regioni, Province e Città Metropolitane. Tale struttura non può che portare a un definitivo scollamento tra la tutela esercitata a dimensione poco  più che sovra-provinciale, e la valorizzazione, che sembra configurarsi come mero elemento economico e non come effettivo incremento culturale, perdendo la valenza di riferimento per il territorio regionale (e quindi vicino ai cittadini) .

Si chiede pertanto di mantenere le Reti Museali ad estensione regionale (non dividendo però le aree archeologiche dai musei) oppure di sopprimere le reti museali stesse, riassegnando personale e strutture alle SABAP, le quali -attraverso una propria area funzionale Valorizzazione- possano provvedere alla costruzione di un progetto unitario ed equilibrato.

 

  1. SEGRETARIATI INTERREGIONALI – Avendone evidenziato, per il futuro, solo la funzione amministrativa, organizzativa ed ispettiva, organizzata su base sovra-regionale, si evince che verrà a mancare la funzione di coordinamento tra uffici periferici regionali (oggi SABAP e Poli Museali) per fondamentali attività che meramente amministrative non sono, quali ad esempio le Commissioni Regionali per il Patrimonio Culturale (COREPACU), che esaminano gli aspetti relativi alla c.d. “vincolistica” portando all’adozione dei provvedimenti di tutela necessari. Tali attività meglio si regolano con un coordinamento regionale (dietro direttive centrali) e non con 7/8 uffici interregionali che accorpano realtà diverse.

Su tali aspetti si chiede specifico chiarimento tecnico.

 

In ultima analisi, si ritiene che l’eccessiva diversità di organizzazione dei comparti della tutela e della valorizzazione nonché la sostanziale mancanza di un effettivo coordinamento a livello regionale tra questi due pilastri della Cultura, portino a una forte compressione dell’autorevolezza e delle competenze del Ministero in una materia in cui occorre una visione il più possibile unitaria e paritaria.

 

Certi dell’attenzione Sua e della Commissione, porgiamo con l’occasione i nostri migliori saluti.

 

dott. Italo M. Muntoni

Presidente Nazionale di API – MiBACT

 

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Archeo-vacanzieri

Suona bizzarra la proposta di Emendamento alla legge di Stabilità battuta oggi dalle agenzie.

Secondo il documento presentato in Parlamento da esponenti della Lega, sarebbe opportuno concedere agli agricoltori proprietari di un agriturismo la possibilità di “promuovere attività di ricerca archeologica e di scavo” nei loro terreni, consentendo loro l’accesso allo strumento della concessione per scavi e ricerche, normato dagli artt. 88 e 89 del Codice dei Beni Culturali. Come se non bastasse, la legge dovrebbe prevedere anche che gli ospiti della struttura agrituristica possano partecipare alle attività di scavo.

Ed ecco che in poche righe di un comunicato Ansa, decenni di faticoso esercizio della tutela, di protezione dei beni culturali dagli appetiti dei privati e dei mercanti d’arte, di evoluzione teorica e affinamento metodologico della disciplina, di lotte, ancora in corso, per il riconoscimento della figura dell’archeologo, spariscono sommerse da un’idea dilettantistica dell’archeologia.

Basta una manciata di caratteri per riportarci indietro di oltre un secolo, ai tempi in cui a chiunque avesse terra e soldi per pagare qualche operaio veniva concesso di scavare per accrescere le collezioni personali o per lucrare vendendo gli oggetti estratti dal terreno.

Duole dover ribadire quanto pensavamo essere ormai patrimonio condiviso della comunità Nazionale: che l’archeologia non è un hobby per vacanzieri annoiati, ma una disciplina scientifica per la quale è necessaria una lunga e dura formazione; che lo Stato mantiene il controllo diretto o indiretto sulle attività di scavo, in quanto la tutela del patrimonio culturale è materia talmente importante da essere difesa dalla Carta Costituzionale; che i volontari sono sì una risorsa, ma solo nei limiti entro i quali possono offrire un apporto utile, senza che essi si sostituiscano al personale qualificato nell’esercizio di attività di scavo, tutela, valorizzazione; che solo soggetti qualificati, come le Università o gli Enti Pubblici Territoriali, possono avanzare richiesta di concessione, in quanto offrono garanzie certe che vengano rispettati gli standard di scientificità richiesti dal Ministero; che i privati possono sostenere le attività di ricerca attraverso sponsorizzazioni e Art Bonus, ma evitando di prendere in prima persona iniziative malaccorte.

Speriamo davvero che questa notizia, per quanto sgradevole, resti nell’ambito delle proposte senza conseguenze. Ci permettiamo tuttavia di sottolineare che essa è comunque un pessimo segno per la considerazione che ha oggi il mestiere dell’archeologo in Italia.

 

API – Archeologi del Pubblico Impiego – MiBACT

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Per un futuro all’archeologia italiana

Lettera aperta al Sig. Ministro dei Beni Culturali dott. Alberto Bonisoli

 

Sono passati ormai due anni dall’approvazione della “seconda fase” della riforma Franceschini, e ben quattro dall’avvio dei primi provvedimenti che dettero avvio al riassetto del Ministero, separando le funzioni di tutela da quelle di valorizzazione, con la creazione dei Musei Autonomi e dei Poli Museali Regionali, afferenti ad una nuova Direzione Generale dedicata. Alla luce di quanto verificato nel corso di questi anni è dunque possibile formulare alcune riflessioni sui suoi effetti nell’ambito dell’archeologia che oggi si ritrova senza una rappresentanza istituzionale qualificata e specifica a livello di tutela nell’ambito delle diverse strutture centrali e periferiche del Ministero.

La valutazione non è positiva, soprattutto nell’ambito degli uffici preposti alla tutela, in quanto si registra un depotenziamento della capacità operativa sostanzialmente derivante da:

 

  • Mancanza di un modello organizzativo interno che tenga in debita considerazione le specializzazioni, a partire, nelle Soprintendenze, dall’attribuzione delle pratiche, che attualmente tendono ad essere assegnate, al di là delle competenze, prevalentemente ai funzionari architetti. Questo consegue alla sostanziale interpretazione della riforma come “incorporazione” delle soprintendenze archeologiche e storico artistiche in quelle architettoniche, che hanno quindi continuato ad operare in continuità con i modelli organizzativi precedenti. I problemi di attribuzione della pratica, con conseguenti ritardi o addirittura omissioni nell’attribuzione ai funzionari archeologi, come riconosciuto dalla recente circolare n. 26/2018 della DG ABAP, sono alla base di una minore incisività nella tutela archeologica tanto da registrare una riduzione del numero degli scavi per archeologia preventiva e d’emergenza. Sono necessarie regole certe finalizzate a chiarire riti e procedure amministrative tra competenze diverse.

 

  • La nuova area funzionale Archeologia, che assorbe i compiti delle preesistenti Soprintendenze di settore, si trova quasi ubiquamente priva delle strutture di supporto, sia in termini di sostegno tecnico (Uffici tecnici dedicati) sia relativamente agli aspetti scientifici (biblioteche, laboratori di restauro, fotografici e grafici), senza contare la perdurante emergenza relativa ad archivi e depositi tutti strumenti di lavoro insostituibili per l’ordinario esercizio della tutela archeologica, per la quale la conoscenza e la conservazione dei beni sono indispensabili. Va aperto un confronto per l’utilizzo congiunto delle strutture esistenti, attualmente smembrate tra Poli e Soprintendenze, sul loro eventuale potenziamento o incremento, coscienti che nessun progetto di riorganizzazione può essere attuato a costo zero. Particolarmente delicato il tema degli archivi, per i quali si pone il problema pressante dell’accessibilità (che dovrebbe essere garantita quanto meno in base alle norme che regolano l’archeologia preventiva) e la necessità di difenderne l’unitarietà, garantita dalle norme di primo livello ma messa in discussione dalle recenti disposizioni della DG Archivi. Risulta evidente peraltro che lo squilibrio numerico tra archeologi/storici dell’arte, da un lato, e architetti dall’altro, non consente di adempiere alla forma di tutela “olistica” immaginata e alla base della fase 2 della riforma.

 

  • Un ulteriore aspetto riguarda il destino dei musei archeologici. Con la separazione dei Musei dalle Soprintendenze, i Musei Archeologici Nazionali e le aree archeologiche strutturate hanno perso in molti casi il contatto organico con il territorio e gli scavi. Per quanto oggigiorno molto si parli di musei multiculturali e con una visione di apertura internazionale, non possiamo non considerare come i musei archeologici (Nazionali, ma anche Civici) costituiscano il naturale riferimento espositivo degli scavi condotti nelle città e sui territori nei quali si trovano ad operare e il collegamento dei musei con il loro territorio rientri tra gli obiettivi generali indicati dal Ministero nella gestione dei musei. Attualmente una non chiara definizione dei ruoli, delle competenze e dei processi decisionali e attuativi per e sul territorio rischia di creare un diaframma sempre più netto tra tutela e valorizzazione, la cui ovvia e legittima sovrapposizione in taluni casi è lasciata alla sola iniziativa e “buona volontà” dei funzionari che lavorano nei diversi Istituti, piuttosto che a legittime e codificate procedure interne al Ministero.

Inoltre, il passaggio di alcune aree archeologiche e musei ai Poli Museali e, di contro, il permanere alla competenza delle Soprintendenze di numerosissimi aree e monumenti archeologici sparsi sul territorio, non strutturati in parchi veri e propri e quindi inevitabilmente non destinati a un vero e proprio programma di valorizzazione, ne rende le sorti ancora più incerte anche per la scarsità di risorse per la manutenzione e il restauro , creando inevitabilmente il delinearsi di luoghi di cultura di serie A e B.

Permane la sensazione di una forte contraddizione tra l’intento unificatore della riforma, per meglio rispondere alle esigenze del territorio, e la scelta di separare gli istituti di tutela e valorizzazione. Una capacità di intervento globale può partire solo da una forte connessione tra tutti gli elementi della filiera: conoscenza, ricerca, tutela, conservazione, valorizzazione e gestione.

Si ritiene quindi utile avviare un confronto che porti a tale visione globale e che possa anche prendere in considerazione la riconnessione delle competenze di tutela e valorizzazione per quei musei e aree archeologiche non autonomi ora inseriti in Poli museali estremamente eterogenei.

 

  • Queste oggettive disorganizzazioni hanno, inoltre, incisive e drammatiche ricadute sulla componente professionale privata, sia in forma di libera professione che di impresa, che dalla corretta e diligente gestione di tutela, ricerca e valorizzazione in buona parte dipende e che negli anni ha svolto notevoli investimenti in formazione e tecnologie. Infatti, come anticipato, da un lato la minore incisività nella tutela archeologica registra una riduzione del numero degli scavi per archeologia preventiva e d’emergenza, dall’altro i musei di serie B non ricevendo adeguate, o per nulla, sovvenzioni, sono costretti a ridurre, nei casi fortunati, o cancellare del tutto attività di ricerca, promozione e valorizzazione adeguate, campi in cui la componente professionale privata ha ampiamente apportato negli anni il proprio contributo.

 

  • La recente pubblicazione del D.M. 154/2017 sulla qualificazione degli operatori economici abilitati ad eseguire i lavori sui BBCC tutelati, ha portato nuovamente in evidenza il grave ed ormai annoso problema della mancata pubblicazione del regolamento attuativo della legge 110/2014 riguardante, fra gli altri, il profilo professionale e formativo degli archeologi e la tenuta del relativo elenco presso il MiBACT. Preso atto dell’ampia consultazione effettuata al riguardo dal MiBACT e durata più di due anni, con la partecipazione di tutte le associazioni di categoria, di impresa e delle consulte universitarie, si chiede, vista l’urgenza di dare una regolamentazione al settore, che venga emanato il relativo Decreto, il cui iter amministrativo è ormai concluso ed essendo intervenuta anche l’approvazione del MIUR. La pubblicazione del decreto garantirebbe chiarezza sugli inquadramenti professionali del personale operante nel settore e risolverebbe molte conflittualità che attualmente si registrano sempre più frequentemente sia nelle attività ordinarie che negli appalti pubblici.

 

Le Associazioni:

 

API – Archeologi Pubblico Impiego MiBACT

ARCHEOIMPRESE

ASSOTECNICI – Associazione Nazionale dei Tecnici per il Patrimonio Culturale

CIA – Confederazione Italiana Archeologi

CNA coordinamento archeologi

CNAP – Confederazione nazionale Archeologi Professionisti;

FAP – Federazione Archeologi Professionisti;

Mi Riconosci? Sono un Professionista dei Beni Culturali

LEGACOOP produzione e servizi

 

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La politica e il Museo. Solidarietà a Christian Greco

Apprendiamo con profondo sconcerto le pesanti minacce delle quali il dott. Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino è stato fatto oggetto in queste ore da parte di alti dirigenti di un partito politico.

La nostra Associazione, fin dalla sua fondazione, si è battuta e si batte per difendere la libertà della cultura e la terzietà di quanti si occupano di tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico. Esprimiamo dunque al direttore Greco tutta la solidarietà di API – MiBACT. Riteniamo inaccettabile che una forza politica possa condurre un attacco così aperto e grossolano contro chi, come il dott. Greco, esercita un ruolo che DEVE essere libero da pressioni e da ingerenze che nulla hanno a che fare con le sue mansioni scientifiche e tecniche.

Fermo restando che il direttore del Museo Egizio è nominato dalla Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino e non dal Governo, il vile attacco da lui subito è l’indice di una deriva che coinvolge l’intero ambito dei beni culturali in Italia: soprintendenti assunti con contratti di tipo privatistico e direttori di musei autonomi nominati direttamente da Ministro dei Beni Culturali rischiano di essere sempre maggiormente legati al potere politico e ai mutamenti di governo, e di conseguenza sempre meno liberi di esercitare pienamente i ruoli di gestione e controllo che sarebbero chiamati a ricoprire.

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Profili ex L. 110/2014: lettera delle Associazioni Professionali al Ministro dei Beni Culturali

 

All’On. Ministro dei Beni Culturalilogo api def 2

Dott. Dario Franceschini

ministro.segreteria@beniculturali.it

 

Alla c.a. del Capo di Gabinetto del Ministro

dott.ssa Tiziana Coccoluto

gabinetto@beniculturali.it

 

 

La recente pubblicazione del D.M. 154/2017 sulla qualificazione degli operatori economici abilitati ad eseguire i lavori sui BBCC tutelati, ha portato nuovamente in evidenza il grave ed ormai annoso problema della mancata pubblicazione del regolamento attuativo della legge 110/2014 riguardante, fra gli altri, il profilo professionale e formativo degli archeologi e la tenuta del relativo elenco presso il MiBACT.

Preso atto dell’ampia consultazione effettuata al riguardo dal MiBACT  in questa materia con il coinvolgimento delle associazioni di categoria e del corposo lavoro di revisione normativa e tecnica svolto sino ad ora dagli esperti del Ministero, le associazioni sottoscritte chiedono che venga al più presto completato l’iter amministrativo del Regolamento e, vista l’urgenza di dare una regolamentazione al settore, che venga emanato il relativo Decreto.

L’approvazione garantirebbe chiarezza sugli inquadramenti professionali del personale operante nel settore e risolverebbe molte conflittualità che attualmente si registrano sempre più frequentemente sia nelle attività ordinarie che negli appalti pubblici.

In particolare in questo ultimo settore, come accennato sopra, la recente revisione del Codice degli appalti rende assolutamente necessaria l’emanazione del decreto della legge 110 per garantire a migliaia di operatori del Beni Culturali di lavorare a pieno titolo nei cantieri su beni culturali pubblici e privati contribuendo fattivamente alle attività di tutela e salvaguardia del Patrimonio.

 

Le Associazioni:

ANA – Associazione Nazionale Archeologi; ANAI – Associazione Nazionale Archivistica; Direttivo ANASTAR – Associazione Nazionale Storici dell’Arte; ANPIA – Associazione Nazionale Professionale Italiana di Antropologia; API – Archeologi Pubblico Impiego MiBACT; ARCHEOIMPRESE; ASSOTECNICI – Associazione Nazionale dei Tecnici per il Patrimonio Culturale; CIA – Confederazione Italiana Archeologi; CNA – Confederazione Nazionale Artigianato e P.M.I.; CNAP – Confederazione nazionale Archeologi Professionisti; FAP – Federazione Archeologi Professionisti; Mi Riconosci? Sono un Professionista dei Beni Culturali; LEGACOOP produzione e servizi

 

 

 

 

Emendamenti natalizi

Dicembre, si sa, è un mese particolarmente importante per la politica italiana. Tempo di bilanci sul lavoro svolto, ma anche e soprattutto momento di elaborazione della Legge di Stabilità (quella che un tempo si chiamava “la Finanziaria”). È questo lo strumento con il quale si dettano le linee di indirizzo del bilancio dello Stato per l’anno successivo, ed è attraverso di esso che già in passato abbiamo visto arrivare, attraverso emendamenti nascosti tra le pieghe del testo, provvedimenti anche esiziali per il mondo dei Beni Culturali. Come dimenticare il via libera alla riorganizzazione per Decreto Ministeriale del MiBACT, possibile proprio grazie ad un emendamento presentato all’ultimo minuto alla fine del 2015?

Oggi con lo stesso metodo si tenta ancora una volta il colpaccio.

Grazie all’emendamento 4768/VII/1.3 infatti viene proposta

apposita selezione per titoli e colloquio finalizzata all’inquadramento […] delle unità di personale di cui all’articolo 2, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2014, n. 106. Alla selezione di cui al precedente periodo possono partecipare le unità di personale che siano state reclutate a seguito di procedura selettiva pubblica e che, entro la suddetta data del 31 marzo 2018, abbiano prestato servizio per almeno trentasei mesi presso la Segreteria tecnica di progettazione di cui al medesimo articolo 2, comma 5, del decreto-legge n. 83 del 2014, conv. legge n. 106 del 2014.

Nei fatti si sta parlando di una stabilizzazione di tutti quegli archeologi, architetti, ingegneri, assunti come collaboratori nella Segreteria Tecnica di Progettazione del Grande Progetto Pompei (GPP) attraverso una procedura basata solo su titoli e colloquio, senza passare attraverso il concorso pubblico. Per di più una operazione che è resa possibile da una sottrazione dai fondi della dotazione annua per i Musei “nel limite massimo di 500 mila euro annui a decorrere dall’anno 2018”.

Gioverà ricordare rapidamente che la Segreteria Tecnica di cui si parla è stata istituita a partire dal marzo 2015, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 106/2014, art. 2, comma 5, “Per accelerare la progettazione degli interventi previsti nell’ambito del Grande Progetto Pompei, al fine di rispettare la scadenza del programma”. Ciò, peraltro, accade in un momento in cui la progettazione è quasi tutta conclusa, a tal punto che la Segreteria si troverà in massima parte a supportare i funzionari della allora Soprintendenza speciale (attualmente Parco archeologico) nella Direzione dei lavori già in essere.

Oggi, quando il Grande Progetto Pompei è nei fatti pressoché concluso, e con un’altra procedura concorsuale a livello nazionale già espletata, con assunzioni in corso ed una graduatoria di idonei valida alla quale attingere in caso di carenze di organico, il tentativo di stabilizzazione dei membri della Segreteria Tecnica appare inutile, inattuale e lesivo dei diritti di colleghi che un concorso l’hanno superato.

Quanto accade è tuttavia sintomatico della deriva subita dall’amministrazione dei Beni Culturali, e più in generale dell’intera Cosa Pubblica in Italia. In nome del principio della semplificazione delle procedure amministrative, si provvede alla creazione di norme speciali che erodono e limitano le leggi che regolerebbero i requisiti di accesso nei ranghi della Pubblica Amministrazione. Aprendo nei fatti la strada ad una gestione delle assunzioni che potremmo definire privatistica, ma che rischia di diventare, nei fatti, clientelare, come già si verifica in parte attraverso le procedure di selezione di personale a tempo determinato che lo Stato effettua attraverso la Società Ales.

 

Chiediamo dunque che l’emendamento venga immediatamente ritirato, e che si apra contestualmente una riflessione più ampia sulla gestione dei Beni Culturali in Italia. Perché a fronte di carenze di organico fortissime per alcune figure fondamentali, come gli assistenti tecnici o il personale amministrativo, non si prediliga la logica di stabilizzazioni che sanno più di favore personale che di effettivo vantaggio per l’Amministrazione.

 

 

Roma, 18.12.2017

Archeologi Pubblico Impiego (API) – MiBACT

il Presidente, dott. Italo M. MuntoniPOMPEI

Considerazioni sui Responsabili d’Area nelle SABAP

Diciamo la verità. Seppur impegnati ad analizzare i risvolti della procedura di mobilità appena iniziata, da tempo sentiamo la necessità di commentare l’avvenuta pubblicazione di un documento ministeriale che spiegasse urbi et orbi compiti e funzioni dei responsabili delle aree funzionali nelle Soprintendenze, aree introdotte come novità assoluta nella faticosa riorganizzazione del Ministero, ed in particolare nella cosiddetta “fase 2” iniziata col D.M. 44/2016. Il documento in esame è la circolare 22 della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, successivamente integrata dalla 27.

 

Due parole sugli ultimi 10 mesi…

In effetti, sono passati molti mesi, dopo che gli organi centrali del Ministero hanno ordinato ai nuovi Soprintendenti unici (in carica dall’11 luglio) di nominare -previa selezione interna- i responsabili di area previsti dal DM 44/2016, prima di conoscere compiti e funzioni dei responsabili d’area. Giova ricordare che i Soprintendenti, vista l’assoluta mancanza di indicazioni sui compiti e le funzioni dei futuri responsabili, hanno di fatto interpretato in modo autonomo la natura di tale responsabilità. E altro non potevano fare. Ciò, però, ha comportato situazioni palesemente differenti in ogni Soprintendenza, sulle quali non ci dilungheremo, se non per ricordare che, in taluni casi, gli uffici non disponevano di personale sufficiente a coprire gli incarichi di responsabili delle 7 aree previste, in altri sono stati affidati gli incarichi a prescindere dal profilo tecnico, in altri ancora non sono stati affidati a causa di “interpello” deserto (ad esempio, in mancanza proprio di indicazioni su compiti e responsabilità amministrative, gli archeologi delle neonate 3 soprintendenze venete hanno scelto di non partecipare all’interpello, di fatto aprendo la strada per l’avocazione a sé del ruolo da parte dei 3 soprintendenti.

Tuttavia, pur in questa fluida situazione, i responsabili di area insieme ai loro colleghi hanno lavorato, in modo anche decisamente faticoso, per tentare di garantire quella continuità amministrativa tanto voluta e sbandierata dall’Amministrazione centrale dopo l’11 luglio. E per garantire un generale supporto (forse anche emotivo…!) ai vecchi-nuovi Soprintendenti, di fatto diventati “olistici” per decreto.

 

La circolare 22, la 27 e i nuovi orizzonti

Lo scopo della circolare 22 è di fornire il contenuto su cui lavorare agli attuali e ai futuri responsabili delle aree funzionali; tuttavia, appare subito chiaro, fin dalla prima lettura, che la circolare nasce zoppicante, poiché -a fronte delle indicazioni contenutistiche- specifica bene che la definizione dei compensi è ancora in discussione e dovrà essere sottoposta a contrattazione sindacale su base nazionale. Ma quindi: si applica subito oppure no? E la risposta -secondo logica- dovrebbe essere NO. Eppure, con la successiva circolare 27 (in particolare si legga il punto 5), il Ministero ritiene subito operative le nuove disposizioni!

Tornando alla 22, l’obiettivo è comunque dichiarato: “al fine di rendere omogeneo il nuovo modello organizzativo in tutta l’amministrazione periferica afferente alla Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio”, vengono precisati i compiti e le funzioni dei responsabili di area, “sentite le OO.SS. al tavolo nazionale del 13 aprile 2017”.

E qui cominciano ad emergere dei dubbi: possibile che le OO.SS. non abbiano nulla da dire in merito alla palese contraddizione tra l’aver dettagliato in modo anche pesante alcuni compiti e l’assoluta mancanza di certezze sui compensi economici e sul possibile conflitto tra le nuove “figure professionali” e i profili previsti dal mansionario in vigore nel Ministero?

Inoltre: possibile che ancora una volta, pretendendo di “rendere omogeneo il modello organizzativo”, vengano tenuti in disparte osservazioni, suggerimenti e quant’altro forniti dai tecnici del Ministero che quotidianamente si confrontano con i problemi di organizzazione del lavoro?

Comunque sia… sappiamo ora che “l’articolazione in aree funzionali ha lo scopo di supportare il Soprintendente nell’esercizio delle funzioni di tutela nel territorio di competenza” e che tale organizzazione “per aree tematiche” integra la “tradizionale organizzazione topografica”; tuttavia pare che non ci si renda conto che invece di integrare l’organizzazione topografica e le procedure amministrative, in realtà quella nuova tende forse più a creare dei comparti stagni. Ma sicuramente ci sbagliamo noi…

 

Veniamo a quelli che, secondo noi, sono aspetti decisamente problematici:

 

  1. In generale, l’assoluta novità è che il responsabile di area -salvo disposizione diversa del Soprintendente- sarà anche Responsabile del Procedimento di tutte le istruttorie della sua area, di fatto assumendo oneri e onori. Ma soprattutto oneri; per questo, i compensi previsti (che peraltro dovrebbero essere retro-attivi…, visto il ruolo di “responsabilità” iniziato a fine agosto 2016 in molte Soprintendenze) dovranno garantire una giusta remunerazione, non solo per i carichi di lavoro generale, ma anche per compensare le spese delle coperture assicurative che i responsabili di area dovranno sostenere. Ci si chiede in quale modo i responsabili d’area potranno effettivamente svolgere il ruolo di Responsabile del Procedimento per tutte le istruttorie dei funzionari dell’area di riferimento?! a fronte delle pesanti carenze di organico, che permarranno anche dopo il completamento del concorso in atto, come potranno i responsabili d’area mantenere i propri incarichi territoriali?

Insomma, nello stato in cui versano attualmente le Soprintendenze ci pare persista la mancanza delle minime garanzie per assumere o comunque sostenere questa responsabilità.

 

  1. Il testo della circolare entra poi nel merito delle funzioni dei vari responsabili, che sarebbe troppo lungo ed inutile elencare qui in dettaglio. Salta tuttavia agli occhi la decisa sproporzione tra i compiti del responsabile dell’area Organizzazione e Funzionamento e gli altri; pur supportato dai “responsabili delle unità organizzative amministrative dell’ufficio” (se presenti…!), dovrebbe curare tutte le procedure di gestione generale, dalle pulizie agli atti dell’Art Bonus, dal coordinamento del centralino e portineria alle interrogazioni parlamentari.

Ci chiediamo davvero quali siano state le informazioni in possesso di chi ha concordato il testo della circolare in merito alla reale situazione organizzativa degli uffici.

Peraltro ci sfugge il motivo per il quale, fra i vari incarichi, il responsabile di area sopra descritto non abbia alcuna voce in capitolo sull’importantissimo aspetto della contabilità generale degli uffici (aspetto che è letteralmente sparito dalla circolare; che sia un modo sottile per dire che gli uffici non avranno più una loro contabilità?).

 

  1. Per quanto concerne, invece, le funzioni dei responsabili delle aree tecniche in generale (ma bisogna prima augurarsi che via sia il personale in grado di coprirle tutte…), i compiti appaiono più equilibrati fra di loro e abbastanza definiti, anche se permangono alcuni dubbi. Ad esempio: i responsabili di area hanno anche la titolarità dei rapporti con gli esterni per le tematiche relative alla propria area di competenza? Se sì, di che tipo? Inoltre, se hanno il compito di coordinarsi con i responsabili di altre aree per concludere un’istrutturia di tipo misto, chi ha la titolarità della responsabilità del procedimento? Noi speriamo che le risposte dei dirigenti non siano discrezionali ma il più possibile omogenee sul territorio. Immaginiamo che al Soprintendente rimanga la facoltà di decidere l’interesse prevalente e dunque la titolarità di cui sopra.

 

  1. A fronte delle competenze che gli vengono attribuite e soprattutto della grande responsabilità di cui sopra, un dubbio permane insoluto: in situazioni particolarmente delicate e complesse quale sarà l’effettivo peso del giudizio tecnico di un coordinatore rispetto alle scelte del Dirigente, ovviamente nei settori non di specifica competenza tecnica del Soprintendente? Qualora si dovesse arrivare ad una divergenza di opinioni profonda e non sanabile, la scelta rimarrebbe in capo al Soprintendente? O potrebbe invece essere possibile per il coordinatore d’area chiedere l’espressione in merito del CO.RE.PA.CU. o, meglio ancora, trattandosi di problematiche di carattere tecnico, della Direzione Generale ed in particolare del Servizio di riferimento specifico?

 

  1. Ancora, non avremmo mai voluto leggere, in chiusura dei compiti di ciascun responsabile d’area tecnica, la formula: “ (Assicura il coordinamento per…) ogni altro compito affidato alla Soprintendenza in base al Codice e alle norme vigenti in relazione all’area tecnica di competenza”: espressione generale quanto basta sia per contraddire il proposito stesso della circolare sia per legittimare ogni più ampia interpretazione della formula stessa.

 

  1. Una cosa è certa, o così ci sembra perché ben conosciamo il contesto in cui lavoriamo: i responsabili delle aree di tipo tecnico, ed in particolare architetti, archeologi e storici dell’arte, difficilmente potrebbero sostenere anche il carico di responsabilità della tutela di un determinato comparto territoriale, come attualmente stanno invece facendo. Il territorio verosimilmente dovrebbe essere lasciato agli altri funzionari… In presenza di una macchina amministrativa in perfetta efficienza, completa nei suoi organici, fornita di mezzi e risorse adeguati, i Soprintendenti e i responsabili di area potrebbero certamente avvalersi del contributo di altro personale, specificamente individuato (in qualità di sub-coordinatore o di altro) per la gestione di temi specifici: pensiamo, ad esempio, alla necessità imposta dal recente DPR 31/2017 (Semplificazione delle procedure di autorizzazione paesaggistica) di individuare un referente unico delle procedure semplificate; pensiamo altresì agli attuali incarichi di coordinamento per i vari settori cronologici dell’archeologia o per l’archeologia subacquea o per i siti Unesco (ma analoghi incarichi esistono nel comparto della tutela monumentale e paesaggistica).

Tant’è. Ripetiamo: tutto si potrebbe fare.

Ma non in questo momento storico. Non in un momento in cui gli uffici annaspano alla ricerca di personale, mezzi, risorse. Non ora, senza aver concluso la procedura di mobilità appena iniziata, senza aver concluso l’assunzione dei vincitori del concorso in essere.

 

  1. Gli interpelli svoltisi in tutta fretta alla fine di agosto dello scorso anno sono stati effettuati senza certezze né sui “contenuti” degli incarichi che si andavano ad attribuire né sulle effettive dotazioni organiche di ciascun ufficio; rispondevano ad esigenze di emergenza e dovevano esaurirsi all’inizio di questo anno, se non fosse stato per una proroga de imperio certamente motivata dal perdurare della situazione di “temporaneità” che continua a contraddistinguere l’organizzazione degli uffici. La circolare 27 ha stabilito che, qualora le condizioni lavorative di cui alla circolare 22 non siano accettate dagli attuali responsabili d’area, essi dovranno formalizzare al Soprintendente la propria rinuncia all’incarico. Sicuramente chiaro; ci piacerebbe tuttavia sapere se a questi responsabili d’area “rinunciatari” sarà comunque fornita una indennità -come sarebbe giusto- per il lavoro fin qui svolto.

 

  1. Sarebbe opportuno, inoltre, che venissero meglio definiti i criteri di selezione degli stessi, in modo da rendere le procedure omogenee sul territorio nazionale. Innanzi tutto, fra i criteri tuttora validi (ed esplicitati in occasione del primo interpello, con circolare 10-2016 della stessa Direzione Generale), ci sembra doveroso correggere quanto meno il punto 1, nel quale è richiesto di indicare l’esperienza e le competenze professionali con particolare riferimento all’area richiesta e l’eventuale possesso del profilo di settore. Non si capisce come si possano utilizzare i termini particolare al posto di esclusivo ed eventuale al posto di effettivo, visto che l’intento dichiarato è quello che i responsabili debbano essere una figura specifica di supporto tecnico-scientifico al Soprintendente per ogni area individuata.

Ci permettiamo inoltre di osservare che, vista la complessità dei ruoli e dei carichi di responsabilità, sarebbe opportuno che la selezione non fosse lasciata in capo al solo Soprintendente, ma che venisse creata una apposita commissione composta da Soprintendenti afferenti ai diversi settori tecnici (archeologia, architettura/paesaggio, storia dell’arte)

 

In conclusione

Tutto ciò premesso la nostra associazione chiede urgenti chiarimenti a codesta DG in merito a:

 

  • il modo in cui i coordinatori d’area dovranno effettivamente svolgere il ruolo di Responsabile del Procedimento di tutti i procedimenti relativi alla specifica area di competenza sul territorio;
  • le modalità di risoluzione di eventuali importanti e insanabili divergenze tra il parere tecnico del coordinatore e del Soprintendente di cui sopra;
  • criteri e modalità di selezione dei responsabili d’area: in particolare sulla necessità di possedere il profilo professionale per l’area richiesta;
  • tempistiche certe per l’accordo sulla retribuzione economica nonché adeguatezza della stessa al carico di responsabilità.

 

Alla fine non possiamo che chiederci: era veramente necessario tutto ciò? A un anno dall’entrata in vigore delle Soprintendenze uniche, la macchina burocratica stenta ancora ad entrare a regime e, invece che procedere verso un’auspicata semplificazione, si rende necessario rivedere l’articolazione degli uffici con soluzioni improbabili e problematiche. Questo perché, a fronte del tanto decantato “olismo”, le competenze necessarie a dare sostanza all’atto amministrativo non possono che essere tecniche e specialistiche.

Non conveniva forse che i responsabili di area fossero figure dirigenziali intermedie, adeguatamente riconosciute sia sul piano professionale che sul piano economico ?

Continuando ad auspicare un generale ripensamento della riforma, chiudiamo questo nostro modesto contributo augurando buon lavoro a tutti coloro (Soprintendenti e Responsabili di Area) che vorranno caparbiamente continuare a coordinare il coordinabile in questa nebbia persistente che offusca il nostro mestiere.

 

 

10 luglio 2017                                                                                  Archeologi Pubblico Impiego (API) – MiBACT