Riorganizzazioni perenni

Con le bozze rese note in questi giorni si sono finalmente svelati i dettagli sul progetto di riorganizzazione del MiBAC del quale il Ministro Bonisoli aveva provveduto a illustrare le linee generali negli incontri tenutisi il 20 e il 21 marzo scorsi, ai quali anche API era stata invitata insieme alle altre associazioni di categoria.

Nonostante un percorso di elaborazione condivisibile nella forma, che ha visto il coinvolgimento diretto di associazioni e sindacati tramite incontri e riunioni, e a dispetto della disponibilità a operare cambiamenti, manifestata dal Ministro stesso all’emergere delle prime perplessità durante la presentazione di marzo, la bozza di decreto presenta immutate tutte le criticità sulle quali ci eravamo espressi pubblicamente dopo l’incontro.

Il testo diffuso, infatti, non incide sugli aspetti maggiormente controversi della riforma Franceschini, ma si configura come una riorganizzazione che mira a ridurre il campo di operatività di alcuni uffici periferici, centralizzando sulle direzioni generali alcune funzionalità.

I Segretariati Regionali infatti vengono smantellati e sostituiti da  strutture distrettuali sovraregionali con compiti ridotti e residuali. Tale depotenziamento, se da un lato contribuisce a semplificare la macchina amministrativa, risulta di difficile attuazione in un panorama di estrema frammentazione degli organi territoriali preposti alla tutela. A fronte di Soprintendenze provinciali o sovraprovinciali (il cui numero ancora non è noto, ma che in base alle dichiarazioni potrebbe risultare addirittura superiore alle 37 attuali), l’eliminazione di strutture di livello regionale comporta il riaccentramento a Roma di una serie di funzioni (emanazione dei decreti di vincolo e pronunciamenti delle verifiche di interesse in primo luogo), con un conseguente sbilanciamento dei carichi di lavoro sulle direzioni generali ed un prevedibile allungamento dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi.

Sorge il sospetto che l’accentramento di molte funzioni di tutela a Roma vada nella direzione di svuotare di competenze gli uffici periferici per facilitare in un secondo momento il passaggio delle restanti competenze alle Regioni.

La scelta, inoltre, di creare una Direzione Generale che gestisca almeno in parte contratti e concessioni per gli uffici territoriali del Ministero costituisce ulteriore motivo di preoccupazione. Se da un lato è condivisibile la volontà di dettare criteri uniformi in materia, ancora una volta bisogna sottolineare il rischio di allungare a dismisura la tempistica connessa alla stipula dei contratti.

Privi del raccordo dei segretariati regionali, gli altri uffici periferici sembrano destinati a navigare in ordine sparso, senza la funzione di coordinamento a livello regionale assicurata dai CoRePaCu. A complicare ulteriormente il quadro interviene la riforma dei Poli Museali Regionali, trasformati in Direzioni Territoriali delle Reti Museali. L’accelerazione su una funzione di coordinamento dei vari musei (in una prospettiva di coinvolgimento degli istituti di cultura di proprietà di altri Enti) può risultare importante, in modo da potenziare la valorizzazione del patrimonio; resta tuttavia il fatto che la creazione di strutture sovraregionali contribuirà a indebolire l’azione del Ministero sui territori, scollando ulteriormente la valorizzazione dalla tutela. La stessa possibilità (adombrata, ma non chiaramente definita a livello di regolamento) del ritorno di (alcuni) musei e aree archeologiche alle SABAP contribuirebbe, in assenza di un coordinamento forte, alla creazione di una valorizzazione a due velocità (o a tre, considerando il ruolo dei musei autonomi), per la quale rischiamo di assistere ad una dispersione di risorse economiche e umane, aggravata dall’allontanamento delle sedi delle Direzioni Territoriali dai comprensori museali di competenza e dall’evidente confusione generata dalla presenza di più strutture differenti che si occuperanno di valorizzazione.

Gli stessi musei autonomi, inoltre, si trovano ad essere ridimensionati nella loro discrezionalità, privati come sono dei consigli di amministrazione, elemento questo che oltre a costituire una garanzia specifica per ogni museo (in quanto tagliato sulle specificità dello stesso), avvicinava per la prima volta i grandi musei italiani a quelli internazionali come modalità di gestione.

Risulta infine incomprensibile ai limiti dell’autolesionismo l’abolizione di due luoghi della cultura autonomi a tema archeologico: il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e il Parco Archeologico dell’Appia Antica. La scelta di privare tali istituti dell’autonomia appare oscura e poco giustificabile, in quanto penalizza strutture che, pur estremamente differenti tra loro, per ragioni diverse costituiscono importanti luoghi di valorizzazione del patrimonio: da potenziare, piuttosto che da cassare.

Con la perdita di autonomia di Villa Giulia rischia di venire meno l’operazione di rivitalizzazione di un museo chiave per la comprensione delle antichità etrusche e italiche partita con la nomina dell’attuale direttore. Per l’Appia Antica siamo all’assurdo: il nuovo responsabile, scelto dopo una selezione internazionale durata mesi, si trova ad essere dimissionato ancor prima della presa di servizio.

Infine, se per gli organi preposti alla tutela apparentemente quasi nulla cambia, non possiamo non ribadire i potenziali rischi della commistione di funzioni di tutela e valorizzazione affidate alle SABAP, con la possibile consegna a queste ultime di alcuni luoghi della cultura, che potrebbe confliggere con la persistenza di strutture territoriali di gestione dei musei, innescando conflitti di competenze e difficoltà nella gestione congiunta delle attività di valorizzazione.

Se poi viene scongiurato il rischio della creazione di una “Soprintendenza del Mare” la cui effettiva operatività sembrava di difficile attuazione, resta da chiarire il funzionamento delle previste “sedi distaccate dedicate al patrimonio subacqueo” e i rapporti di queste con gli storici nuclei di archeologia subacquea ancora esistenti e lasciati ai margini nel corso della precedente riforma.

 

A fronte del quadro prospettato, restano tutt’ora in piedi i principali problemi organizzativi del Ministero: ancora lamentiamo infatti la persistente assenza di una catena di comando tecnica consentita solo da uffici settoriali e la separazione di fatto tra funzioni di tutela e valorizzazione.

In buona sostanza, ci troviamo di fronte ad un testo che non risolve i problemi della precedente organizzazione voluta dall’allora Ministro Franceschini, ma che, se possibile, rischia di complicare ulteriormente il quadro complessivo. Questo nonostante la fase di ascolto della nostra, come di altre associazioni e sigle sindacali, che pure avevamo avuto modo di apprezzare, ma alla quale evidentemente non è seguito un recepimento delle istanze segnalate.

Il rischio adesso è di subire un ulteriore processo di riorganizzazione che si troverà ad intervenire sugli organi ministeriali già provati dai recenti stravolgimenti, con un conseguente, ulteriore colpo alle attività di tutela e valorizzazione. L’esatto contrario di quanto sarebbe necessario per i Beni Culturali italiani.

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