La Scuola del Patrimonio: un Patrimonio di tutti, una Scuola per pochi

A due anni dalla sua istituzione, nel dicembre del 2015, la Scuola dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo ha pubblicato l’8 gennaio scorso il primo, atteso Bando di selezione allievi per l’ammissione al 1° ciclo del corso denominato “Scuola del Patrimonio”.
Come evidenziato dal bando, la “Scuola del Patrimonio” è un corso di perfezionamento di durata biennale, che si colloca nella “fase formativa di passaggio tra la conclusione degli studi di livello post-lauream e l’ingresso nel mondo del lavoro in ambito sia pubblico che privato” e ha l’obiettivo precipuo di “formare gli allievi alle funzioni direttive e dirigenziali in materia di patrimonio e attività culturali e turismo, ai fini del
collocamento nel settore pubblico o privato in ambito nazionale e internazionale”. Il percorso di formazione – avanzato, multidisciplinare e di livello internazionale – prevede nel primo anno la frequenza di un modulo comune (1.050 ore di lezione) e, a scelta, di uno tra i sei moduli specialistici (215 ore di lezione), e nel secondo anno uno o due periodi di “internship” da svolgersi presso soggetti pubblici o privati operanti nei
settori del patrimonio culturale o del turismo.
Pur apprezzando il tentativo di offrire un inedito percorso di alta formazione in materia di tutela e gestione del patrimonio culturale e il fatto che la frequenza alla Scuola sia gratuita, l’associazione degli Archeologi del Pubblico Impiego – MiBACT non può che unirsi al coro di quanti, nelle ultime settimane, hanno messo in evidenza le forti contraddizioni tra i contenuti del bando e quella che, nelle parole pronunciate dal Ministro, Franceschini nel 2015 doveva essere la missione istituzionale della Scuola (“Una scuola di specializzazione, quindi alla conclusione del percorso formativo […] che avrà una parte di formazione interna per soprintendenti, direttori dei musei e professionisti della cultura, e una parte internazionale in cui potremo offrire nei rapporti bilaterali la possibilità di venire […] a completare il proprio percorso formativo in Italia: archeologi, storici dell’arte, restauratori”, fonte http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito- MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_1966592022.html). Delle tre affermazioni del Ministro, almeno due sono state completamente disattese dal bando:
1) Non si tratta di una scuola di specializzazione, alternativa a quelle già esistenti presso le principali università italiane, bensì di una scuola di perfezionamento successiva al conseguimento del titolo post-lauream (specializzazione e/o dottorato), che dilata a 9-10 anni il percorso formativo nel campo dei beni culturali.
2) La scuola non è, evidentemente, rivolta né ai funzionari né ai dirigenti del MiBACT, così come non è rivolta a buona parte dei professionisti della cultura, perché la maggior parte di loro difetta del principale requisito d’accesso, avere un’età inferiore ai quarant’anni. La gran parte dei funzionari, anche quelli assunti nell’ultimo e nel penultimo concorso, banditi nel 2008 e nel 2016, ha infatti passato almeno 10 anni a formarsi (tra laurea quadriennale o triennale+magistrale, specializzazione e/o dottorato) presso le Università italiana che erano all’avanguardia nella formazione in materie archeologiche.
La quantità delle ore di lezione previste nel primo anno e l’impegno richiesto dall’internship – traducibile, in modo molto meno accattivante ma più aderente alla realtà, come “tirocinio a titolo gratuito” – rende inoltre la frequenza della Scuola del Patrimonio assolutamente inconciliabile con l’esercizio di una qualsiasi attività professionale e del tutto incompatibile con il ruolo dei dipendenti MiBACT. Ciò appare tanto più discriminatorio in quanto è lecito immaginare che l’aver frequentato la Scuola del Patrimonio determinerà la maturazione di un punteggio nei futuri concorsi per funzionari e/o dirigenti.
Nell’esprimere il profondo sconcerto nei confronti di una Scuola del Patrimonio che nasce elitaria e di un bando palesemente discriminatorio, l’associazione degli Archeologi del Pubblico Impiego – MiBACT non può inoltre esimersi dal manifestare la propria delusione per l’ennesima occasione mancata, quella di costruire percorsi formativi che mettano il personale interno al Ministero nelle condizioni di affrontare i profondi cambiamenti giuridici, amministrativi e gestionali che negli ultimi anni hanno riguardato la materia della tutela e della valorizzazione dei beni culturali.
L’Associazione degli Archeologi del Pubblico Impiego chiede quindi:
– un generale e profondo ripensamento sulla natura, le finalità e gli obiettivi della Scuola dei Beni e  delle Attività Culturali e del Turismo;
– l’equiparazione della Scuola del Patrimonio alle scuole di specializzazione di livello post-lauream, accessibili con la laurea specialistica o la laurea vecchio ordinamento;
– l’assicurazione che il titolo rilasciato dalla Scuola del Patrimonio non costituisca non solo un requisito d’accesso, ma neppure titolo preferenziale nei futuri concorsi per accedere alle qualifiche di Funzionario e/o di Dirigente MiBACT, ma sia in tutto e per tutto equiparato al titolo rilasciato dalle scuole di specializzazione universitarie o al dottorato di ricerca;
– l’attivazione di corsi di perfezionamento privi di qualsiasi requisito d’accesso legato all’età e strutturati in modo tale da garantire la compatibilità con l’esercizio dell’attività lavorativa e/o professionale;
– l’attivazione di percorsi formativi specifici e continui per le tutte le professionalità interne al MiBACT e non soltanto per chi comincia ad operarvi (v. corso programmato per i funzionari neoassunti, fonte http://scuolapatrimonio.beniculturali.it/?page_id=11) e, in particolare:
– l’ampliamento delle opportunità formative per il personale tecnico del MiBACT con l’attivazione di master executive (quindi organizzati in tempi compatibili con il lavoro d’ufficio) riconosciuti ad hoc su temi oggi cruciali come il flusso di lavoro nelle Soprintendenze ABAP, il nuovo Codice degli Appalti e il correlato Regolamento per i lavori riguardanti i beni culturali (DM 154/2017), eventualmente intervenendo nel caso sulle quote di permessi di 150 h che sono talmente ristretti (3% del personale di un ufficio) da limitare fortemente la possibilità di accedere a percorsi formativi per tutti quelli che lo vorrebbero.
Con l’auspicio che la Scuola dei Beni Culturali e delle Attività Culturali del Turismo possa diventare davvero un’occasione per tutti e non soltanto per pochi.
colosseo

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