Riforma Franceschini. Appello al Presidente della Repubblica

Egregio Signor Presidente,

Il Ministro Franceschini ha presentato una nuova riforma del MiBACT che, millantando il principio della interdisciplinarità della tutela, condivisibile e in realtà già messo in pratica dalle strutture periferiche del Ministero, prevede l’accorpamento delle Soprintendenze archeologiche a quelle competenti per il paesaggio, i beni storico-artistici e architettonici.

Ciò rappresenta non una modernizzazione del MiBACT, ma la liquidazione delle competenze tecniche delle professionalità che vi operano. Il dicastero, anziché salvaguardare queste specialità, ha deciso che a soprintendere alle attività operative in cui si esplica concretamente la tutela può essere un dirigente privo di adeguata formazione. L’archeologia, la storia dell’arte, l’architettura e le altre materie così appiattite come genericamente afferenti ai beni culturali, sono discipline che hanno costruito e sviluppato procedure metodologiche e prassi di tutela modellate sulla specifica natura dei beni e protocolli di intervento che si apprendono con un lungo percorso di studi e esperienza sul campo.

Alla scomparsa di dirigenti specialisti non può supplire la nomina di un capoarea funzionario, privo del potere decisionale e di rappresentatività esterna che la legge riserva esclusivamente (e correttamente) al dirigente.

Molti provvedimenti che si intende porre in capo a dirigenti non tecnici possono comprimere diritti fondamentali, quali la proprietà privata, o incidere sulle opere pubbliche. Finora la Repubblica ha ritenuto che tali provvedimenti dovessero mantenere uno spiccato ed esclusivo carattere tecnico-scientifico a garanzia sia dei beni da tutelare, sia dei soggetti destinatari. Tale assioma fondamentale, all’origine del modello delle Soprintendenze, richiede di potenziare, e non deprimere, l’autorevolezza delle figure cui si affida la grande responsabilità di tramandare alle future generazioni il patrimonio culturale della Nazione.

Una struttura fatta di dirigenti unici e di burocrati non tecnici sembra finalizzata all’assorbimento degli uffici nelle nuove prefetture, come vuole la Legge Madia, e alla subordinazione della tutela del patrimonio culturale a un ufficiale scelto dal Governo e alla logica dell’interesse prevalente secondo gli indirizzi governativi. A fronte di una struttura, il MiBACT, deputata ad accertare, su una solida base tecnico-scientifica, quali sono i beni culturali e ad assicurarne la tutela secondo il dettato costituzionale, che non prevede in questo campo alcuna forma di comparazione e bilanciamento con altri interessi.

In particolare burocratizzare le Soprintendenze archeologiche, deputate anche alla ricerca e alla protezione del sottosuolo e di ciò che non è stato ancora scoperto, significa per lo Stato abdicare al compito di individuare, decodificare e mettere a disposizione della collettività ogni traccia e documento del passato con l’autorevolezza assicurata da un solido bagaglio di conoscenze scientifiche e specialistiche e con l’autonomia e la distanza da altri interessi che il Ministero è obbligato a garantire nell’esercizio della sua costituzionale funzione pubblica.

Nessun giovamento al settore dei Beni Culturali, ma una dichiarazione di fallimento e di resa da parte del Ministero, che sembra autocandidarsi a un progressivo e veloce autoscioglimento.

Poiché condividiamo l’aspirazione a migliorare l’Istituzione che abbiamo scelto di servire, ricordiamo che il potenziamento dell’efficacia e dell’efficienza della sua missione si raggiungono rafforzandone le competenze tecnico-scientifiche, l’indipendenza da logiche che non le sono proprie, l’attitudine a una tutela interdisciplinare che non snaturi le singole tipologie di beni in un insieme confuso e indistinto, la capacità di perfezionare l’indivisibile processo ricerca-tutela-valorizzazione, soprattutto se questa si misura non sul mero incremento di introiti, ma come capacità di educare e migliorare la formazione delle persone.

La prima fase della riforma, datata 2014 e non ancora completamente attuata, sta mostrando forti criticità cui si prova a rimediare con la collaborazione volontaria e solidale del personale, spezzettato artificialmente in enti (Polo e Soprintendenze) che, secondo i principi del modello italiano fatti propri anche dall’Unesco, dovrebbero stare uniti.

Il dissenso della comunità scientifica internazionale e dei semplici cittadini dimostra che la sensibilità e la cultura della tutela è più diffusa nella società che nelle stanze del palazzo.

Chiediamo l’immediato azzeramento della riforma e l’apertura di un confronto con i professionisti del Ministero, delle Università, della libera professione, che valorizzi le competenze e la cognizione delle criticità dei tecnici del MIBACT. Nell’ottica della condivisione di quegli intenti e obiettivi che portarono i Padri Costituenti a scrivere l’art. 9 della Costituzione ed in seguito a fondare il Ministero per i Beni Culturali.

Archeologi del Pubblico Impiego – MiBACT

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