Noi non vogliamo crederci

L’Associazione degli Archeologi del Pubblico Impiego – comparto MiBACT ritiene che quanto riportato nel comunicato UIL (Circolare 1635 del 10.02.2016) debba necessariamente essere un fraintendimento delle affermazioni espresse dal Capo Gabinetto del Ministro Franceschini, dott. D’Andrea, durante l’incontro con le OOSS del 10.02.2016.
Infatti, la possibilità che un così alto rappresentante del nostro stesso Ministero abbia affermato che la “perdita della specificità delle professioni degli operatori dei Beni Culturali, avvenuta in conseguenza del fatto che le Università produrrebbero laureati genericamente in Beni Culturali, quindi sostanzialmente ibridi e incompetenti” oltre a riempirci di sconcerto risulta assurda.
Nel caso in cui queste dichiarazioni fossero state correttamente riportate, dovremmo infatti esprimere il nostro più profondo cordoglio per la decretata morte dei Corsi di Specializzazione in Archeologia, considerati inutile e obsoleto orpello di una formazione che – improntata invece ai più aggiornati concetti di una visione solistica – tenderebbe ad annacquare in un tutto indistinto le specificità metodologiche che contraddistinguono le diverse discipline, nonché dell’art. 9bis del Codice dei Beni Culturali, che affida la responsabilità e l’attuazione degli interventi operativi di tutela, protezione, conservazione, valorizzazione e fruizione alle diverse professionalità in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale, secondo le rispettive competenze.
Nel caso in cui queste affermazioni fossero reali, dovremmo anche manifestare la nostra solidarietà ai colleghi liberi professionisti, che hanno speso anni di studio per ottenere i titoli necessari al riconoscimento professionale e all’esercizio di alcune funzioni, ad esempio quelle previste dalle procedure della legge sull’Archeologia Preventiva.
Non potremmo infatti condividere in alcun modo un giudizio di incompetenza rivolto a laureati che hanno svolto corsi di studio altamente formativi. Non lo condivide del resto la stessa legislazione vigente: la declaratoria dei profili professionali del MiBACT, definita nel 2010, stabilisce come requisito di accesso al ruolo di Funzionario Archeologo il diploma di laurea magistrale (o di vecchio ordinamento) coerente con la professionalità e il diploma di scuola di specializzazione o dottorato di ricerca, in materie attinenti al profilo professionale, previsti dalla legge per lo svolgimento dei compiti assegnati. Come il dott. D’Andrea certamente sa, i Funzionari Archeologi attualmente in servizio presso il MiBACT sono stati infatti reclutati attraverso bandi di concorso che prevedevano il possesso di tali titoli, e un gran numero di candidati li possiede entrambi. (Non serve ricordare che molti dei Funzionari in servizio sono titolari anche di abilitazioni all’insegnamento universitario, la maggior parte di loro legge e scrive almeno tre lingue straniere e molti sono autori di pubblicazioni importanti per l’Archeologia non solo italiana).
Se le dichiarazioni menzionate fossero corrette, avremmo la palese ammissione che la riforma, così come è stata progettata, prevede che agli archeologi – dopo essere stati, in una prima fase, allontanati dalla possibilità di dirigere i musei che espongono e valorizzano i risultati del loro lavoro – sia assegnato un ruolo assolutamente marginale anche per quanto concerne l’esercizio della tutela. Un ruolo adatto invece a chi – stando alle affermazioni riportate dal comunicato – ha una formazione “ibrida”, un sostanziale “incompetente”. Avremmo ossia la conferma che i timori ripetutamente avanzati dagli stessi archeologi del Ministero, che li hanno indotti a chiedere con forza il ritiro del decreto ministeriale, sono reali.

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